Il 14 luglio 2014 si è tenuto il sesto meeting dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), per discutere la creazione di due nuove istituzioni finanziarie: la Banca per lo Sviluppo (BRICS Development Bank) e il Contingency Reserve Arrangement, un fondo di salvataggio per aiutare i paesi in difficoltà o in crisi di liquidità.
Con queste istituzioni proprie i BRICS mostrano di volersi rendere indipendenti dalle stringenti condizioni di FMI e Banca Mondiale, controllate dai paesi occidentali, e proteggersi anche dall’essere coinvolti nelle crisi che si originano nei paesi avanzati.
Le due nuove istituzioni diventeranno operative nel 2016 e avranno un capitale iniziale di $50 miliardi ($10 per ciascuno stato membro), da portare a $100 miliardi negli anni successivi. Ogni paese contribuirà al totale in base al peso della propria economia –perciò la Cina pagherà circa $41 miliardi.
Il fondo di stabilità potrà finanziare liberamente i paesi membri senza passare attraverso il FMI, che i BRICS tentano di riformare da anni, chiedendo ad esempio di aumentare il potere di voto delle economie emergenti. La Banca di Sviluppo avrà una dimensione modesta rispetto alle altre banche di sviluppo mondiali (vedi grafico a lato) e finanzierà infrastrutture e altri progetti di sviluppo nei paesi emergenti.
In queste istituzioni la Cina farà la parte del leone. Il Sudafrica, la Russia e per certi versi anche il Brasile hanno economie ancora fortemente dipendenti dall’esportazione di materie prime. Il calo della domanda dopo la crisi economica ha fatto calare i prezzi delle materie prime, mettendo in difficoltà l’economia di questi paesi. Soltanto la Cina ha una economia molto articolata.
I BRICS sono molto diversi fra loro, e spesso hanno interessi divergenti. Lo si è visto quando la Cina ha bloccato un progetto di trattamento delle acque in una regione indiana su cui la Cina avanza diritti territoriali. Ma hanno alcuni obiettivi comuni, soprattutto in Africa: Pechino da tempo investe nelle risorse africane e costruisce infrastrutture in loco. Anche il Sudafrica ha sviluppato infrastrutture che collegano i suoi porti all’entroterra africano. L’India ha sempre avuto intensi legami con l’Africa orientale e vi ha investito in miniere, agricoltura e nell’industria leggera. Il Brasile invece condivide la lingua e l’eredità coloniale con l’Angola e il Mozambico, dove le sue aziende minerarie partecipano allo sviluppo delle risorse costruendo infrastrutture. Anche la Russia, dopo anni di inattività seguiti al crollo dell’URSS, ha ripreso a investire in progetti energetici in Africa.
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