da un articolo di George Friedman per Strategic Forecasting
Putin è visto da molti come il dittatore più repressivo e aggressivo che la Russia possa avere, ma non è affatto così: dopo di lui, la situazione potrebbe essere molto peggiore.
Putin sostituì Yeltsin nel 2000, soprattutto per le conseguenze di quanto accaduto in Kosovo. Allora la Russia, alleata dei Serbi, non riuscì a evitare che la NATO entrasse in guerra contro Belgrado. Agli occidentali poco importava il punto di vista della Russia, in piena crisi economica e debole a livello internazionale. I Russi furono costretti ad accettare un accordo che prevedeva l’ingresso degli USA e delle truppe della NATO in Kosovo, ma a una condizione: che anche le truppe russe avrebbero partecipato alle operazioni di peacekeeping. L’accordo non fu mai rispettato: fu uno schiaffo alla Russia di Yeltsin, che non aveva la forza di replicare all’insulto.
La situazione economica alla fine degli anni ’90 era disastrosa. La Russia era sempre stata povera, ma aveva sempre contato molto a livello internazionale. Durante l’epoca Yeltsin divenne ancora più povera, ma soprattutto ininfluente nel panorama internazionale.
Putin prese le redini di un paese profondamente malato, e si dedicò a rimetterlo in sesto. Dal suo punto di vista la caduta dell’URSS era stato il più grande disastro geopolitico del XX secolo; non perché avesse intenzione di ricreare l’Unione Sovietica, ma perché voleva recuperare la dignità perduta della Russia e proteggere gli interessi nazionali.
La Rivoluzione Arancione del 2004 in Ucraina, che scalzò Yanukovich – eletto in circostanze tutt’altro che trasparenti – e portò al potere Yuschenko come capo di una coalizione filoccidentale, fu un brutto colpo per Putin, che gridò al complotto, accusò la CIA e altre agenzie occidentali di aver organizzato le manifestazioni. In cuor suo Putin era convinto che l’Occidente volesse umiliare la Federazione Russa facendole fare la stessa fine dell’URSS, e questo lo portò ad assumere un atteggiamento ostile all’Occidente. Mosca impiegò sei anni per ribaltare la situazione in Ucraina. Nel frattempo si dedicò alla ricostruzione dell’esercito e dei servizi segreti, e si servì delle forniture di energia per influenzare la politica interna ucraina. Putin voleva evitare che Kiev finisse nelle mani degli Occidentali.
Anche la guerra alla Georgia nel 2008 si può leggere in quest’ottica. A quell’epoca gli USA erano intrappolati in un pantano in Iraq e Afghanistan. Pur non avendo mai stretto un’alleanza formale con Washington, la Georgia credeva di poter contare sulla protezione di Washington in caso di guerra. L’invasione della Georgia servì a due obiettivi: dimostrare la forza dell’esercito russo e far capire agli altri paesi della regione che le garanzie americane erano aria fritta.
Di fronte a questo nuovo corso, Obama e Hillary Clinton tentarono l’operazione ‘restart’, per promuovere la distensione e tornare ai “bei vecchi tempi” della collaborazione fiduciosa. Putin interpretò la cosa in modo diverso: vide gli USA sulla difensiva e sfruttò la situazione a suo vantaggio. Usò l’arma dell’energia per intessere solidi legami con i paesi europei, in particolare con la Germania. Quando Obama minacciò di intervenire con l’aviazione in Siria perché Damasco aveva utilizzato armi chimiche, la Russia si oppose duramente, e riuscì non soltanto a evitare l’intervento, ma a portare gli USA al tavolo dei negoziati. I Russi si mostrarono caparbi e decisi, gli USA incerti e anche un po’ naif. Nonostante l’economia russa non desse segni di miglioramento, la figura di Putin ne uscì rafforzata.
Ma gli eventi in Ucraina del 2014 sono stati devastanti per Putin. A gennaio il paese dipendeva ancora dai Russi, a febbraio Yanukovich era scappato all’estero e un nuovo governo filoccidentale governava il paese. La tanto sperata rivolta contro il governo di Kiev nella parte orientale del paese non si materializzò e il nuovo governo si insediò saldamente alla guida del paese. A luglio soltanto modeste porzioni del paese sono in mano a milizie filorusse: la Crimea, dove la presenza russa è sempre stata forte, e il triangolo fra Donetsk, Lushank e Severodonetsk, dove un modesto numero di ribelli appoggiati dalle forze speciali russe controlla circa una dozzina di paesi.
Putin è stato costretto a cambiare strategia. Ha cercato di sfruttare i legami energetici con l’UE per allontanare gli Europei dagli Americani. Ma poi è stato abbattuto l’aereo della Malaysian Airlines. Sembra appurato che la Russia abbia offerto sistemi di difesa anti-aerei e abbia tenuto corsi di addestramento ai separatisti ucraini sul come utilizzarli. Perciò potrebbe essere indirettamente responsabile dell’abbattimento dell’aereo. Questo errore rischia di rovinare l’immagine di Putin: da paladino della rinascita russa si trasforma in politico incompetente che appoggia un’insurrezione inesistente con armi del tutto spropositate. E l’Occidente non può far finta di niente: deve fare i conti con quanto avvenuto.
Putin non dimentica la sorte del suo predecessore Nikita Kruscev che, rientrando dalle vacanze nel 1964, scoprì di essere stato sostituito dal suo protetto Leonid Breznev. Kruscev venne accusato di essere instabile di mente e fu costretto a ritirarsi. Kruscev era uscito umiliato dalla crisi dei missili a Cuba, e a distanza di dieci anni dal suo insediamento l’economia continuava a languire.
Ora la situazione economica russa non è nemmeno lontanamente paragonabile al periodo Kruscev o Yeltsin, anche se di recente ha subito un peggioramento. Ma quel che importa è che Putin sembra non riesca più a soddisfare le aspettative dei Russi. Dopo la crisi del 2008 la Russia ha avuto tassi di crescita molto bassi – quest’anno si parla di crescita zero, secondo i dati della banca centrale russa. I debiti delle regioni sono raddoppiati negli ultimi quattro anni tanto da sollevare dubbi sulla solvibilità di alcune amministrazioni. Alcune aziende minerarie e metallurgiche sono sull’orlo del fallimento, e la crisi ucraina ha ulteriormente peggiorato la situazione. Nei primi mesi di quest’anno c’è stata una fuga di capitali di 76 miliardi di dollari, rispetto ai 64 di tutto il 2013. Gli investimenti esteri sono scesi del 50% rispetto allo steso periodo dell’anno precedente. Per fortuna i prezzi del petrolio sono rimasti sui 100 dollari al barile, ma se dovessero scendere la crisi russa diventerebbe grave.
La popolarità di Putin come leader forte e di successo ha raggiunto il culmine dopo i giochi olimpici invernali di Sochi e l’annessione della Crimea. Ma la situazione in Ucraina si rivelerà per quello che è: non una vittoria, ma una sostanziale sconfitta; e anche i problemi economici stanno venendo al pettine.
Che cosa accadrà? Putin ha rimesso in piedi alcuni elementi del potere sovietico e ha reintrodotto il termine Politburo per i suoi più stretti collaboratori, uomini che ha nominato lui stesso e che perciò − si pensa − gli saranno leali sempre. Ma non è così. Il Politburo non è un corpo coeso e obbediente: è costruito per riuscire a raggiungere la maggioranza dei consensi sfruttando gli equilibri fra le fazioni. Putin è stato molto abile nel manovrare le persone per i suoi scopi, ma se la fiducia nelle sue abilità dovesse calare il Politburo potrebbe rivoltarglisi contro. Come Kruscev fu “pensionato” per aver fallito in politica estera ed economica, anche Putin potrebbe essere “pensionato” anzitempo da qualcuno dei suoi più stretti collaboratori.
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