Nella regione a Sud di Tripoli la situazione sembra essere tornata alla “normalità” dopo settimane di combattimenti fra gli islamisti appoggiati dai leader di Misurata e alcune frange dell’esercito governativo, recentemente cacciate dall’aeroporto di Tripoli.
Misurata è la terza maggiore città della Libia, una delle poche realtà stabili del paese – a differenza di Tripoli e Bengasi, dove le violenze portano costantemente a interruzioni nella distribuzione di elettricità ed acqua potabile. I miliziani di Misurata sono stati fra i primi a ribellarsi al leader Mohammar Gheddafi e ora tentano di imporre la prioria autorità su di un territorio più ampio, in competizione violenta con altre fazioni.
I paesi confinanti sono preoccupati dall’instabilità del paese, ma ogni ipotesi di intervento è esclusa perché non si capisce chi possa essere legittimo erede della Libia post-Gheddafi, e soprattutto non è possibile individuare possibili alleati dell’Occidente. La risoluzione 2174 dell’ONU, votata il 27 agosto scorso, prevede sanzioni contro chiunque si opponga alla transizione politica libica – ad esempio compiendo attacchi contro porti, uffici diplomatici e infrastrutture importanti – ma è di ben difficile applicazione.
La Libia del dopo Gheddafi è un paese in preda al caos: l’area a sud di Tripoli e Bengasi è un campo di battaglia per le forze dell’ex generale Khalifa Hifter, sostenuto dall’Occidente, e le forze jihadiste e islamiste nel paese. Secondo fonti non confermate gli islamisti di Bengasi godrebbero dell’appoggio di Qatar e Turchia – sono noti i legami fra Ankara e i jihadisti di Anshar al-Sharia – mentre i miliziani di Misurata hanno stretto legami con altri gruppi islamisti – tutti contro Hifter.
Il nuovo parlamento nazionale, riconosciuto a livello internazionale, ha preso a riunirsi a Tobrul invece che a Bengasi, come stabilito in origine, per problemi di sicurezza, e fatica a imporre la propria autorità alle quattro città – Tripoli, Misurata, Zentan e Bengasi. A questo si somma il fatto che il precedente parlamento – scaduto con le elezioni del 25 giugno – non accetta l’esito elettorale e quindi continua a riunirsi nella capitale, sfidando l’esito elettorale. La competizione fra i due parlamenti crea fratture nell’esercito e accresce le tensioni per il controllo dell’esportazione del petrolio – con il rischio di nuovi cali nella produzione.
L’unica certezza è che al momento in Libia non c’è nessuno capace di imporsi in modo autorevole su tutto il territorio nazionale.
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