Al summit Stati Uniti- Africa sull’energia conclusosi il 7 agosto 2014 a Washington investitori, aziende e leader politici africani hanno discusso insieme le possibilità di aumentare la cooperazione fra aziende americane e paesi africani. Summit analoghi sono stati tenuti dalla Turchia, dalla Cina, dalla Germania. Non abbiamo notizie della partecipazione di operatori italiani.
Gli investitori guardano con interesse alla Nigeria, il più grande paese dell’Africa per economia e popolazione, il cui governo si è dato l’obbiettivo di triplicare la produzione di energia per uso domestico e di espandere la rete elettrica in tutto il paese.
L’hub principale dell’Africa occidentale fra le reti di distribuzione di elettricità si trova lungo la dorsale che attraversa Benin, Togo e Ghana e raggiunge la Costa d’Avorio lungo il Golfo di Guinea (vedi immagine in testata). Gli altri paesi dell’Africa occidentale sono isolati, non hanno economie integrate né reti elettriche integrate: ad esempio l’importante area mineraria del Niger, dove si estrae uranio, usa soltanto elettricità prodotta da centrali a carbone indipendenti, alimentate con combustibile estratto in loco.
I paesi dell’Africa meridionale – dal Sudafrica alla Repubblica Democratica del Congo (RDC) – hanno in progetto numerosi interventi per connettere le reti elettriche dei paesi della regione. La rete del Sudafrica (immagine a destra) è decisamente più avanzata rispetto agli altri paesi dell’Africa occidentale perchè dotata di sistemi moderni per mantenere l’equilibrio di potenza in tutte le linee ed evitare black-out localizzati. Le attuali infrastrutture sono state sviluppate per far fronte alle necessità di energia dell’industria di estrazione del rame nella RDC e nello Zambia.
La prima infrastruttura energetica sub-Sahariana, una linea ad alto voltaggio lunga 1700 km, fu costruita nell’allora Rodesia del Nord negli anni ’50. In epoca coloniale si investirono notevoli risorse per lo sviluppo e l’integrazione delle economie di Zimbabwe e Zambia. Oggi in Sudafrica le centrali sorgono vicino ai grandi bacini minerari. Il governo ha sempre offerto sconti sull’elettricità e sul carbone per favorire lo sviluppo dell’industria mineraria e poi anche dell’industria manifatturiera. L’industria mineraria è stata direttamente influenzata dall’African Power Pool, istituzione nata nel 1955 con l’obiettivo di sviluppare la produzione di carbone in tutta la regione. Il carbone è la prima fonte di generazione di energia elettrica nell’Africa meridionale: in alcuni paesi (come il Sudafrica) tocca picchi dell’80% della produzione totale. Ma i costi di trasporto lo rendono poco conveniente per le centrali dell’interno, molto distanti dalle miniere di carbone.
Il Sudafrica è l’unico paese del continente ad avere un rattore nucleare a Koeberg. Nel 2013 Pretoria ha speso $33 miliardi in 17 nuovi progetti per energia rinnovabile che, messi insieme, produrranno 1456 megawatt e , aggiunti ai 47 progetti già realizzati precedentemente, permettono di raggiungere una produzione totale di 2400 megawatt con le rinnovabili.
Congo e Zambia invece sono più legate all’idroelettrico. Il più grande progetto riguarda la diga di Inga in Congo, che attualmente ha una capacità di circa 1775 megawatt ma dovrebbe crescere di ulteriori 4500 megawatt grazie a lavori di espansione.
La rete energetica dell’Africa orientale (vedi mappa a sinistra) è probabilmente la più frammentata di tutta l’Africa sub-Sahariana: nonostante i collegamenti fra le infrastrutture attorno al lago Vittoria, mancano reti che uniscano Sudan ed Etiopia, Etiopia e Kenya, per non parlare di Libia ed Egitto, che sono del tutto isolati.
A far la parte del leone nell’Africa orientale sono Kenya, Tanzania e Uganda, che si scambiano energia costantemente. In Kenya la crescente domanda da parte delle industrie ha portato a un aumento della capacità di produzione e all’ampliamento della rete esistente: Nairobi produce la metà dell’energia che consuma da fonti idroelettriche, il 35% da oli combustibili, il 13% - circa 200 megawatt – da fonti geotermiche. Il Kenya ha inoltre investito molto nell’energia solare e vorrebbe costruire centrali a gas e a carbone – soprattutto dopo la scoperta dei giacimenti al largo della costa keniota e nella vicina Tanzania.
In Tanzania un terzo dell’energia prodotta proviene da impianti a gas. Sono in progetto ulteriori lavori per integrazione con le reti dei paesi limitrofi, cui vendere l’energia in eccesso nei periodi di basso consumo.
Anche Etiopia, Sudan e Gibuti si scambiano energia costantemente, mentre manca un collegamento fra questi paesi e Kenya, Uganda e Tanzania. L’Etiopia esporta energia elettrica a Sudan e Gibuti la domenica e durante la notte, ma avrebbe bisogno di collegamenti alle reti dei paesi attorno al Lago Vittoria, a quella del Sud Sudan – attualmente isolato. Si discute di un collegamento con lo Yemen con cavi sottomarini in partenza da Gibuti. Addis Abeba ha ottenuto un finanziamento di $1,5 miliardi dalla Banca Mondiale per costruire una griglia di connessione con il Kenya da 2 gigawatt. Inoltre sta offrendo condizioni attraenti per potenziali investitori nelle energie rinnovabili. I progetti sul tappeto sono tanti – fra questi un impianto geotermico da 1 gigawatt e un parco eolico da 130 megawatt. Ma la risorsa più importante per l’Etiopia è l’acqua del Nilo. La diga Gilgel Gibe III, che dovrebbe essere completata entro il 2015, costerà $1,5 miliardi e avrà una capacità di 1,84 gigawatt – la più grande centrale idroelettrica di tutta l’Africa. Anche la diga Grand Renaissance sul Nilo Blu dovrebbe iniziare a produrre energia elettrica entro un anno.
A cura di Davide Meinero
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