Dalia Grybauskaite, presidente della Lituania, ha recentemente affermato di voler limitare i programmi televisivi russi nel paese. Negli stessi giorni il ministro della difesa lituano, generale Jonas Vytautas Zukas, ha annunciato la creazione di una forza di rapido intervento, che sarà sempre pronta a reagire ad “attacchi non convenzionali da parte di combattenti non riconoscibili”, velato riferimento alle azioni della Russia in Crimea e nell’Ucraina orientale. La forza di reazione sarà costituita da 2500 dei 7000 militari lituani. Da novembre dovrà essere in grado di intervenire in un lasso di tempo compreso fra due e ventiquattr’ore. La sua missione sarà quella di rispondere alle minacce non convenzionali, come attacchi da parte di gruppi armati non ufficiali, violazioni dei confini e manipolazione delle minoranze nazionali da parte di paesi stranieri.
La Russia ha assunto un atteggiamento minaccioso già da tempo: ha potenziato le forze armate ai confini con i Paesi Baltici, sia nell’area di San Pietroburgo sia nell’enclave russa di Kaliningrad, e ha intensificato le esercitazioni militari. Intanto in molte città baltiche hanno avuto luogo manifestazioni filo russe, il cui peso non è da sottovalutare poiché le minoranze di etnia russa costituiscono il 24,8% della popolazione estone, il 26,9% di quella lettone e il 5,8% di quella lituana.
In quanto membri NATO protetti dalla clausola di difesa collettiva dell’articolo V, i Paesi Baltici possono ritenersi al sicuro da attacchi di tipo convenzionale. È però poco probabile una reazione della NATO a forme di conflitto ibride o asimmetriche. È questo tipo di attacco che la nuova forza di intervento lituana dovrebbe neutralizzare. Ma difficilmente ci riuscirebbe, data l’esiguità delle forze di cui dispone. Inoltre mantenere più di un terzo delle forze del paese sempre pronte a intervenire richiederà risorse economiche considerevoli, e questo rende poco probabile la sostenibilità dell’iniziativa sul lungo periodo.
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