Nel 2010, in piena crisi economica, i paesi europei giunsero a un compromesso per evitare il fallimento di alcuni stati membri ed il conseguente collasso dell’eurozona: la Germania e i paesi più solidi avrebbero dato aiuti finanziari ai paesi in difficoltà – Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia – che in cambio si sarebbero impegnati a riformare profondamente le loro economie.
In quanto principale paese finanziatore, la Germania riuscì a far passare la propria linea e imporre dure misure di austerità ai paesi in crisi. Perché? A che risultato mirava? In altre parole, quale è la visione dell’Unione Europea nell’immaginario del governo tedesco ? Per capirlo occorre fare un passo indietro e capire come si è forgiata la visione tedesca, attraverso i secoli.
Prima dell’unificazione del 1871 il territorio dell’attuale Germania era stato per quasi mille anni un insieme di staterelli – ducati, monarchie, città-stato – all’interno del Sacro Romano Impero, formalmente sopravvissuto fino al 1800. Prima della formazione dello stato nazionale tedesco, che dal 1871 al 1945 provocò tre grandi guerre in Europa, i Tedeschi erano abituati ad essere parti piuttosto sciolte di qualche impero e si dedicavano soprattutto all’industria e al commercio. Pur fedeli all’imperatore, i piccoli stati erano in fortissima competizione fra di loro – talora si combatterono in armi , anche per l’ingerenza dei potenti vicini – Francia, Austria-Ungheria, Russia. La rivalità favorì la nascita di una florida attività manifatturiera e mercantile in cui i migliori, quelli che sapevano esportare i propri prodotti all’estero, riuscirono a prosperare grandemente.
A partire dal XIII secolo molti di questi stati formarono un’alleanza di città portuali con sede ad Amburgo e Lubecca, alleate con città portuali dei Paesi Baltici, della Svezia, della Polonia e dell’Olanda: la Lega Anseatica. La Lega per alcuni secoli pattugliò le rotte del Mare del Nord e del Mar Baltico. Quando gli interessi di qualcuno degli stati membri veniva minacciato, i paesi dell’Alleanza inviavano navi con armi e soldati a ristabilire l’ordine. Grazie ai commerci anche la produzione si espanse sempre più e i prodotti tedeschi, apprezzati per la loro eccellenza, si diffusero nel continente e in Inghilterra.
Dopo la scoperta delle Americhe e il conseguente spostamento del centro del commerci sull’Atlantico, la Lega Anseatica perse di importanza, fino a sciogliersi nel XVII secolo. Ma l’esperienza della Lega Anseatica ha lasciato un segno profondo nella mentalità e nell’architettura economica della Germania, tuttora orientata all’export.
Nel XVII-XVIII secolo emerse un nuovo attore nella Grande Pianura Europea: la Prussia. Dopo la caduta di Napoleone, che aveva sottomesso gli stati tedeschi, i Prussiani mirarono a unificare gli stati tedeschi della pianura europea, e grazie al genio diplomatico di Otto von Bismarck, a un’efficiente burocrazia e a un imponente apparato militare, nel 1871 ci riuscirono.
Priva di confini naturali che la separassero dai vicini, la nuova Germania unificata tentò di provvedere alla propria sicurezza con la supremazia militare e a una politica aggressiva, che ebbe conseguenze disastrose per l’intero continente europeo. Per quanto potente sul piano economico e militare, la Germania non ha confini naturali facili da difendere, né è tanto forte da poter sottomettere militarmente l’intero continente, se gli altri paesi oppongono una resistenza congiunta.
Dopo la sconfitta del 1945, i Tedeschi capirono che non è possibile ottenere sicurezza cercando di sottomettere militarmente i vicini. Distrutta e divisa, la Germania prese la strada della ricostruzione ispirandosi all’esperienza della Lega Anseatica e puntando sull’export. La stabilità del marco tedesco e la progressiva liberalizzazione degli scambi con la nascita della CECA (1951) e della CEE (1957) permisero alla Germania un rapidissimo sviluppo industriale. L’export della Germania passò dall’8,5% del PIL nel 1950 al 14,6% del 1960, al 27,6% nel 1985 – e oggi si aggira addirittura sul 50%. Le eccellenze tedesche divennero presto note in tutto il mondo.
Con la fine della Guerra Fredda alcuni paesi europei, fra cui la Francia, temettero che la Germania, dopo la riunificazione del 1990, perseguisse nuovamente sogni egemonici in Europa. Per questo chiesero e ottennero l’adozione di una moneta comune per legare in un unico destino i paesi europei e “ingabbiare” la Germania in Europa. Ma questa scelta cambiò profondamente gli equilibri economici d’Europa. I paesi che avevano sempre condotto una politica monetaria inflattiva persero l’unica arma contro l’export tedesco: la possibilità di svalutare.
La Germania aumentò le esportazioni anche nel resto del mondo e riuscì a reggere senza troppi problemi persino la competizione cinese, grazie alle riforme del mercato del lavoro introdotte nei primi anni del nuovo secolo, che ridussero il costo del lavoro per singolo prodotto, come si vede nel primo grafico a destra. Il secondo grafico a sinistra illustra invece quanto accaduto dopo il 2000 sul mercato intra-europeo: a fronte di un aumento delle esportazioni tedesche si registra un corrispondente aumento delle importazioni dei cosiddetti PIIGS.
Quando nel 2010 Berlino dovette aiutare finanziariamente alcuni paesi dell’Eurozona, ritenne che questi avrebbero dovuto riformare i propri sistemi economici per imitare il modello tedesco, perché nell’immaginario dei Tedeschi l’Unione Europea dovrebbe essere una specie di nuova Lega Anseatica composta da paesi con un’economia fortemente orientata all’export e capaci di competere sul piano internazionale – non è un caso che i negoziati sul TTIP siano iniziati proprio in questo periodo.
Dopo le misure draconiane Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda hanno ripreso a crescere, mentre i due paesi che continuano a tergiversare sulle riforme – Italia e Francia – sono tuttora in stagnazione: hanno ragione i Tedeschi? Da un punto di vista puramente economico può darsi, ma da un punto di vista sociale e politico l’atteggiamento tedesco provoca ostilità.
Le riforme imposte dalla troika o dall’Unione Europea su richiesta tedesca hanno suscitato un coro di reazioni negative in alcuni paesi e portato alla nascita di forti movimenti populisti – in Grecia e Spagna, ma anche in Francia, dove la percezione dell’egemonia tedesca risveglia vecchi nazionalismi.
L’architettura dell’UE si basa sull’alleanza franco-tedesca, che ha garantito pace e stabilità al vecchio continente. Ma ora che Parigi è in crisi economica e politica, la Germania ha non ha molte carte da giocare per imporre le proprie scelte in Europa contro la volontà sia della Francia sia dell’Italia. Senza l’appoggio di almeno uno dei due paesi, la Germania non riesce a promuovere le sue politiche per l’Europa. Perciò potrebbe decidere di accettare qualche compromesso, almeno temporaneo, per alleviare le tensioni ed i sospetti anti-tedeschi che serpeggiano in Europa. Ma non basterà qualche piccolo compromesso sull’euro o sul deficit di bilancio: senza una vera unione politica, l’Europa prima o poi tornerà a dividersi in blocchi di paesi.
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