Potere e umanitarismo
in campo internazionale

18/12/2014

L’analista politico Robert Kaplan sostiene che pensare seriamente alla politica estera significa pensare in modo amorale. La politica estera è una battaglia per assicurarsi spazi e poteri, combattuta nel corso dei millenni da stati e imperi in un mondo senza arbitri. Lo stato è regolato dalla legge, ma il mondo è anarchico” (Foreign Policy Amoralism, Stratfor, 17 dicembre 2014). 

Lo scopo della politica estera di ogni paese o alleanza egemone è abitualmente il mantenimento degli equilibri internazionali esistenti, perché ogni sbilanciamento può comportare un rischio. Ma se mantenere l’equilibrio non pare possibile, o se l’equilibrio esistente non è sufficientemente favorevole, la politica estera mira a creare un diverso equilibrio, più favorevole ai propri interessi e ai propri progetti. Nel campo dei rapporti fra stati sono i bisogni, più che i princìpi, a determinare i comportamenti. Però l’egemonia, benché raggiunta con mezzi amorali, può avere ampie ricadute moralmente positive .

Col loro potere gli Stati Uniti assicurano le vie marittime di comunicazione e il libero accesso agli idrocarburi. Si impegnano dunque nell’amorale lotta per il potere per difendere un ordine internazionale liberale: il risultato è morale, ma i mezzi − se non immorali − sono spesso perlomeno amorali. Oggi nell’Asia orientale gli Stati Uniti devono sostenere la modernizzazione e il rafforzamento degli eserciti di paesi un tempo nemici, come il Giappone e il Vietnam, per controbilanciare la potenza emergente della Cina. Il Vietnam non è democratico e la democrazia giapponese vede lo stesso partito al potere da decenni. In futuro l’esercito vietnamita e quello giapponese potrebbero causare problemi, soprattutto per il crescente nazionalismo giapponese, eppure le imponenti dimensioni e l’autoritarismo della Cina rendono oggi necessario stringere queste alleanze imperfette.

I paesi della NATO potrebbero mettere a disposizione la forza delle loro diplomazie e i loro servizi di intelligence per cercare di mettere fine alle orrende violenze interreligiose e intertribali nella Repubblica Centrafricana e nel Sud Sudan. Ma non lo fanno e non lo faranno – indipendentemente da quanto possa peggiorare la situazione – semplicemente perché quei paesi non sono rilevanti dal punto di vista strategico. Impegnare risorse, persone e armamenti in aiuto di popolazioni la cui sorte non è strettamente legata alla nostra non soltanto non appare utile, ma non sarebbe alla lunga possibile, perché le risorse e le persone sono limitate, dunque vanno utilizzate con parsimonia, in casi che ci coinvolgono direttamente.

In politica estera anche soltanto considerare di poter compiere un gesto umanitario è un lusso che raramente ci si è potuti concedere nella storia, data l’aspra lotta per la sopravvivenza con la quale ogni potenza, piccola o grande, ha dovuto fare i conti. Eppure centinaia di organizzazioni private oggi sono attive in attività umanitarie in decine di paesi diversi, sostenute da organizzazioni internazionali. Questo è conseguenza del benessere materiale e della sicurezza senza precedenti che gli stati occidentali sono riusciti ad assicurarsi. È soltanto grazie al fatto che gli Stati Uniti e l’Occidente in generale hanno gestito così bene l’amorale lotta per la sopravvivenza che ora c’è spazio per pensare a interventi umanitari, sostiene Kaplan. Il potere internazionale può essere utilizzato moralmente per imprese umanitarie, ma può essere acquisito solo in maniera amorale (che non significa necessariamente immorale). Dunque un umanitarismo permanente richiede di impegnarsi permanentemente nell’amorale acquisizione e mantenimento del potere occidentale. E’ una tesi che farà discutere. 

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