I nazisti al potere non iniziarono subito lo sterminio: adottarono una serie di misure graduali che, dice Bensoussan, ‘diluiscono la discriminazione in transizioni impercettibili. Prese assieme conducono all’orrore, ma non lo si percepisce, perché subentra l’assuefazione alle politiche di emarginazione e questa si trasforma in una norma sociale. Gli stessi Ebrei che vivevano in Germania continuarono a sentirsi tedeschi, si illusero che l’ennesima discriminazione sarebbe stata l’ultima, sarebbe rimasta la più grave. Scrive Joseph Roth nel 1937: “Si erra da una legge di Norimberga all’altra. Si erra da un’edicola di giornali all’altra, quasi si sperasse che un giorno vi si venderanno delle verità”.
Dapprima i provvedimenti condussero all’esclusione degli Ebrei dal resto della società. L’esclusione sociale mette in discussione l’appartenenza al genere umano. Uccidere chi non è più considerato parte del genere umano non è più percepito come una colpa. L’assassinio di massa sarà reso possibile dalla gradualità delle politiche di esclusione, attraverso tappe legislative precise e calcolate.
A partire dal 1933, anno della presa del potere nazista, venne realizzata la morte civile degli ebrei, poiché venne abrogata l’uguaglianza legale con gli altri cittadini: gli Ebrei furono banditi dalle funzioni pubbliche, dalla vita culturale e da molte professioni.
La morte politica giunse nel 1935. Al Congresso del Partito nazionalsocialista, a settembre, vennero annunciati due provvedimenti che miravano a definire l’ebreo per separarlo fisicamente e legalmente dai Tedeschi. Si tratta delle cosiddette Leggi di Norimberga: la “Legge per la cittadinanza del Reich” e la “Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”. La prima privava gli Ebrei della cittadinanza, perché considerava cittadini solo i Tedeschi di ‘stirpe’. La seconda vietava i matrimoni e ogni relazione sessuale tra Ebrei e cittadini di sangue tedesco, in quanto “crimini di profanazione razziale”. Dal 1935 frequentare Ebrei non fu compatibile con l’iscrizione al partito nazista. Chi aveva amici ebrei poteva venir espulso da partito e, con il partito ormai padrone dello stato, difficilmente poteva ancora trovare lavoro.
Negli anni successivi furono adottati provvedimenti per individuare e marchiare l’Ebreo, per poterlo evitare. Mentre ai Tedeschi veniva proibito di impiegare nomi dell’Antico Testamento, gli brei erano costretti ad aggiungere, senza mai ometterlo, “Israel” o “Sara” al loro primo nome. Dal 19 settembre 1941 furono costretti anche a portare la stella di David a sei punte. Il filologo ebreo Klemperer definì questo momento “forse il giorno più difficile per gli ebrei. […] Ora la ghettizzazione era completa, non c’era più la possibilità di confondersi. […] “Ora, dopo l’introduzione della stella gialla […] ogni ebreo portava con sé il proprio ghetto, come la chiocciola la sua casa”.
Nel 1936 venne decretata la morte economica attraverso misure legislative volte a isolare e impoverire gli Ebrei. Inizia la cosiddetta “arianizzazione forzata”: l’espropriazione delle attività ebraiche per cifre ridicole, il trasferimento delle proprietà allo stato, che le vende a condizioni agevolate agli ‘ariani’. Questo aspetto è cruciale per comprendere almeno in parte l’atteggiamento di molti Tedeschi nei confronti di quanto stava accadendo agli Ebrei: le norme discriminatorie favorivano gli interessi economici di parte della popolazione.
Nel 1938, quando la Germania si stava preparando alla guerra, venne decretato che gli Ebrei dovessero abbandonare qualsiasi attività, impresa o professione. Né potevano frequentare spiagge, luoghi di villeggiatura, parchi, centri sportivi. Dopo lo scoppio della guerra poterono far la spesa soltanto in orari riservati, in modo che gli ‘ariani’ potessero evitare il rischio di incrociarli nei negozi o nelle strade. Furono poi obbligati a traslocare nei pochi palazzi loro riservati, lasciando le loro case, e a dividere poco spazio e poco cibo fra più famiglie. Ma in Germania non vennero mai costruiti ghetti cintati da muri e sorvegliati dai militari, come nei paesi invasi. Gli Ebrei in Germania dovevano rimanere isolati e privi di risorse, ma ancora visibili, perché su di loro la propaganda continuava a riversare la colpa di tutte le difficoltà dei Tedeschi. Se fossero già stati rinchiusi, questo non sarebbe stato possibile.
In soli sei anni – dal 1933 al 1939 – venne cancellato un intero secolo di processi di integrazione, senza che il resto del mondo reagisse. Alla conferenza di Évian del luglio 1938 sul problema dei rifugiati ebrei in fuga dalla Germania nazista parteciparono 32 paesi, che decisero soltanto di creare un “Comitato intergovernativo per i profughi” per discutere la questione con le autorità tedesche. Non si aprirono le frontiere ai profughi, né vennero mosse obiezioni alla condotta della Germania: le misure che adottava erano considerate ‘legittimo’ esercizio della sovranità nazionale! Eppure le intenzioni del regime nei confronti degli Ebrei erano chiare. Hitler non fece mai mistero dei suoi piani di sterminio. Ecco un esempio di quanto affermato, prima ancora dell’inizio del conflitto mondiale: "[In caso di guerra] il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra, e dunque la vittoria per gli ebrei, ma l'annientamento della razza ebraica in Europa”. Già nel 1938 il console americano a Berlino scriveva esplicitamente in una relazione che i nazisti avevano in progetto di sterminare gli Ebrei. Gli Inglesi decriptavano i telegrammi tedeschi e sapevano che cosa la Germania stava tramando. Ma nessuno agì, né rese noto quello che sapeva. La mancata volontà di intervenire o perlomeno di soccorrere gli Ebrei in fuga dalle persecuzioni tedesche costituì un passaggio fondamentale nello sterminio: Hitler capì che non ci sarebbero state levate di scudi, che dunque avrebbe potuto spingersi oltre.
Il 7 novembre 1938, qualche mese dopo la conferenza di Évian, ci fu la cosiddetta “Notte dei Cristalli”, che segnò l’accelerazione del processo di persecuzione. L’assassinio di un consigliere di ambasciata tedesco a Parigi da parte di un giovane ebreo polacco viene sfruttato da Goebbels come pretesto per scatenare un pogrom. All’apparenza frutto di scoppi spontanei di violenza, ma in realtà alimentato da agenti provocatori, il pogrom causò la morte di un centinaio di ebrei; inoltre vennero distrutte diverse sinagoghe, commesse violenze sessuali, e decine di migliaia di Ebrei vennero arrestati e inviati a Dachau e Buchenwald. Si tratta del primo internamento di massa di Ebrei in quanto tali. Non ci furono reazioni concrete: la popolazione e la Chiesa tedesca, pur in maggioranza contrarie a quanto accadeva, non protestarono con decisione. Europa e Stati Uniti espressero indignazione, ma non modificarono le politiche di accoglienza ai profughi.
Il 1938 fu un anno cruciale per la storia degli Ebrei d’Europa anche per l’introduzione delle leggi razziali in Italia e per l’Anschluss, l’annessione dell’Austria da parte della Germania, con conseguenti sanguinosi pogrom degli Ebrei austriaci.
Fra il 1939 al 1941 la Germania nazista proseguì il percorso legislativo di discriminazione degli Ebrei ai quali, per esempio, viene imposto il coprifuoco alle 20, anche nei loro quartieri. Vennero confiscate le radio e vietato di utilizzare tram, treni e telefoni. Nel 1939 quasi la metà della comunità ebraica tedesca era emigrata. Fino a quel momento il regime nazista aveva spinto gli Ebrei a partire, creando appositi uffici, come il Centro di emigrazione ebraica di Vienna, dal quale Eichmann in sei mesi organizzò l’espulsione di 45 000 ebrei, un quarto della comunità austriaca. Ma l’inizio della guerra a settembre 1939 e la conquista e annessione di nuovi paesi portarono a un ulteriore e fatale cambiamento nella gestione della “questione ebraica” da parte della Germania nazista.
Invadendo i paesi dell’Est Europa i Tedeschi inglobarono consistenti minoranze ebraiche locali. In Polonia, paese che i Tedeschi decisero di governare direttamente, gli Ebrei erano quasi i 10% della popolazione, cioè oltre 3 milioni. Fra i Polacchi cristiani e i Polacchi ebrei la convivenza era stata spesso difficile, ma di fronte all’invasione tedesca c’era un’alta probabilità che Ebrei e cristiani antinazisti si schierassero insieme. I nazisti avevano davvero una paura irrazionale degli Ebrei, che erano una comunità povera e pacifica, e ora temettero che i numerosi Ebrei polacchi potessero diventare pericolosi alleati dei Russi. I nazisti ammassarono gli Ebrei delle città in ghetti a Cracovia, Kovno, Lublino, Lodz, Lvov, Varsavia, Vilna, e in centinaia di altri ghetti più piccoli, non soltanto in Polonia, ma anche in tutti gli altri territori occupati.
Fame, sovra popolazione, malattie, povertà, e le angherie della Gestapo e della Kriminalpolizei decimarono gli Ebrei nei ghetti, prima che cominciassero le deportazioni. A Lodz, il più grande ghetto di tutta la Polonia, un quarto dei 200000 internati morì in qualche settimana.
La gestione della vita degli Ebrei – dentro e fuori il ghetto – venne affidata ai Consigli ebraici, istituiti dai Tedeschi a partire dal 1939. Si trattava di membri della Comunità scelti dai Tedeschi o dagli stessi Ebrei per fungere da intermediari tra le autorità tedesche e gli Ebrei. Furono i Consigli ebraici a dover svolgere gli incarichi amministrativi e burocratici di censimento, spoliazione e deportazione delle Comunità stesse, per conto dei Tedeschi. Così i Tedeschi si liberarono dei problemi di gestione del ghetto e deviarono sui membri del Consiglio l’ira e il rancore degli Ebrei per le sofferenze subite. Nella speranza di evitare violenze peggiori, i membri dei Consigli ebraici finirono spesso per sottostare agli ordini tedeschi, arrivando anche a stilare le liste di persone da deportare. Alcuni, come Adam Czerniakow, presidente del Consiglio ebraico di Varsavia, non riuscirono a tollerare il peso morale di un tale compito e si suicidarono.
Durante il primo anno di guerra molti Ebrei vennero deportati dai ghetti in campi di lavoro, creati sul modello di Dachau. All’arrivo vecchi, bimbi e malati venivano uccisi, in quanto inutili per il lavoro. Per i nazisti il lavoro fisico estenuante doveva essere svolto dalle “razze inferiori”, sino alla morte per fame e per fatica. Così la produzione bellica sarebbe stata massiccia e a basso costo, e contemporaneamente si sarebbero decimate le razze ‘inferiori’, facendo più spazio al dominio dei Tedeschi. La popolazione civile tedesca non fu mobilitata durante la guerra, come nelle altre nazioni, proprio perché lo sforzo bellico lo dovevano fare gli schiavi ebrei e slavi dell’Europa dell’est.
Nei campi di lavoro c’erano Ebrei, oppositori politici e, a partire dal 1940, anche prigionieri di guerra. Tutti dovevano subire il lavoro coatto come strumento di umiliazione, di punizione e spesso di morte.
Il 1941 segnò l’ulteriore, gravissima svolta: la programmazione dello sterminio di massa. A gennaio vennero create le Eisatzgruppen, quattro gruppi di azione speciale che seguivano l’esercito regolare man mano che questo conquistava territori dell’Unione Sovietica nell’avanzata che, nei progetti tedeschi, doveva raggiungere Mosca in sei mesi. Le Einsatzgruppen avevano il compito di rastrellare i territori conquistati alla ricerca di Ebrei e di partigiani comunisti, radunarli e sterminarli, per lo più con fucilazioni. Erano circa 3000 uomini, comandati da alti ufficiali, tra cui alcuni uomini di chiesa o intellettuali. Prima della fine del 1942, uccisero a mano, uno per uno, 1300000 Ebrei in Ucraina, Moldavia, Bielorussia e nei Paesi baltici. Talora le Einsatzgruppen si facevano aiutare negli eccidi da volontari filonazisti locali. I massacri quotidiani di popolazioni inermi, in maggioranza vecchi, donne e bambini, avvenivano sotto gli occhi di tutti. L’orrore divenne intollerabile anche per molti fra gli assassini.
La guerra non andò come previsto da Hitler: l’obbiettivo dell’esercito tedesco era di arrivare a Mosca entro giugno 1941, invece i Tedeschi furono fermati dalla disperata ed eroica difesa russa, soprattutto a Stalingrado e Leningrado. Sfumata l’illusione di una guerra lampo, alcuni generali tedeschi iniziarono a temere la disfatta, tanto più che neppure gli Inglesi si davano per vinti, ma lottavano come leoni, mentre aumentavano le probabilità che anche gli Stati Uniti decidessero di entrare in guerra. Fu in questo contesto che il regime nazista – nel luglio 1941 – decise di sterminare rapidamente tutti gli Ebrei europei. Fu Hitler stesso, ossessionato dalla paura, a intimare di prendere tutte le misure necessarie per la ‘soluzione totale della questione ebraica nei territori sotto l’influenza tedesca’, come scrisse Hermann Göring a Reinhard Heydrich, incaricandolo di studiare e risolvere i problemi organizzativi e tecnici. Heydrich verrà ucciso dalla resistenza cèca nel 1942, ma in sua memoria l’industria della sterminio degli Ebrei verrà chiamata in codice ‘Operazione Reinhard’.
Scrive Georges Bensoussan che ,di fronte ai segni di fallimento della strategia di guerra dei nazisti, ‘la messa a morte degli Ebrei d’Europa pare l’unico mezzo per scongiurare lo spettro della sconfitta, concentrando l’angoscia ossessiva della Germania, ‘nazione eletta’ ‘ sola contro tutti’, sull’Ebreo, primigenio oggetto di disgrazia’. Bensoussan usa qui il linguaggio della psicanalisi per gettare uno squarcio di luce sulla tendenza delle società a perseguitare nelle minoranze il proprio male, esteriorizzandolo. Le società in crisi tendono a cercare un ‘capro espiatorio’, un simbolo del male la cui morte può salvare la società stessa dal collasso. Per noi che siamo cresciuti in una società sicura e pacifica è difficilmente comprensibile, ma gli avvenimenti in altre parti del mondo ci mostrano questo meccanismo all’opera anche oggi. Le decapitazioni rituali di ostaggi occidentali da parte del cosiddetto ‘Stato Islamico’ servono a riversare la ‘colpa’ della violenza su di un capro espiatorio, che poi viene ucciso come simbolo del male che in realtà è nei miliziani stessi, che sono i veri responsabili delle azioni con cui colpiscono e smembrano la loro stessa società. Anche in questo caso il ‘colpevole’ scelto per essere decapitato non è un combattente, un nemico in armi, ma un civile inerme, un innocente cui gli assassini assegnano il ruolo di potente simbolo del Male che, secondo loro, li ‘costringe’ a diventare assassini. La grande differenza è che nella Germania nazista, società di massa laica e industrializzata, anche l’uccisione del capro espiatorio avvenne in massa e con sistemi industriali, sottraendo risorse allo sforzo bellico, degradando moralmente le masse di Tedeschi coinvolti nel massacro, senza che la morte degli Ebrei arrecasse nessun beneficio né militare né economico alla Germania.
Nel 1941 la Germania chiuse ogni possibilità di emigrazione agli Ebrei. Eichmann, che era stato addetto all’organizzazione dell’emigrazione degli Ebrei, poi alla loro raccolta nei ghetti, divenne l’organizzatore dei trasporti per la deportazione e lo sterminio su scala continentale.
Il primo campo di sterminio progettato e realizzato fu quello di Belzec, e costituì il modello di quelli successivi. Aveva una piccola stazione ferroviaria, alle cui spalle c’era uno spiazzo in cui i prigionieri arrivati lasciavano valigie o fardelli che un ‘sonderkommando’ avrebbe aperto per suddividerne il contenuto nei magazzini, da cui i diversi tipi di beni sarebbero stati spediti in Germania. Il magazzino dei beni dei deportati in arrivo era la costruzione più grade del complesso. A gruppi i deportati venivano inviati in una grande baracca e fatti spogliare. Venivano loro tagliati i capelli che sarebbero stati usati come imbottiture per materassi, poi venivano spinti a gruppi attraverso un percorso chiuso ai lati, fino a quello che veniva presentato come il locale delle docce, ma era il luogo di morte. C’erano poi i luoghi di cremazione dei cadaveri, che a Belzec avveniva all’aperto, ma in altri campi avveniva in forni crematori in muratura. Accanto, le fosse comuni. Oltre alle case per i direttori e per le guardie, non c’erano altri spazi per vivere.
A Belzec, come a Treblinka, le molte centinaia, talora migliaia, di deportati in arrivo al mattino con un convoglio, entro sera erano tutti morti. Perciò non c’erano edifici per ospitare prigionieri, salvo quelli che servivano ai sonderkommando, ‘ gruppi speciali’. Si trattava di tre squadre di Ebrei giovani e forti, selezionati da qualche arrivo, che venivano tenuti in vita per un periodo medio di circa tre mesi per svolgere i lavori nel campo. Una squadra era addetta all’apertura dei bagagli dei deportati in arrivo e allo smistamento del contenuto nei magazzini, alla registrazione e all’imballaggio delle quantità di ogni tipo di beni. Se trovavano in questi fardelli piccole scorte di cibo, le mangiavano o le davano alle guardie in cambio di qualche favore o di qualche sigaretta. Rubacchiavano anche abiti e scarpe, perciò erano ben nutriti e ben vestiti. Ma questo privilegio era temporaneo; sarebbero stati uccisi e sostituiti dopo poco tempo. Una seconda squadra era composta di artigiani che per qualche tempo servivano come lavandai, calzolai, carpentieri, elettricisti, manovali delle SS e delle guardie prima di essere messi a morte. La terza squadra aveva un lavoro durissimo: raccogliere i cadaveri, bruciarli e seppellirli, dopo aver tolto i denti d’oro dalle bocche, o altre protesi il cui metallo veniva recuperato.
A Treblinka, a Sobibor e ad Auschwitz alcuni sonderkommando furono protagonisti di tentativi di sabotaggio delle camere a gas e dei forni, e di tentativi di fuga. Qualche fuga riuscì e i sopravvissuti narrarono dettagliatamente l’orrore che avevano visto e vissuto. Uno di loro fu Schlomo Venezia.
Mentre si progettavano e si costruivano i campi che avrebbero funzionato come industrie dello sterminio, si sperimentavano i sistemi più veloci ed economici di uccisione. A partire da settembre 1941 i nazisti presero a impiegare i gas: ad Auschwitz-Birkenau iniziarono ad uccidere con lo Zyklon B i prigionieri di guerra sovietici, mentre le Einsaztruppen usavano unità mobili per la gassazione. Vicino a Lodz, a Chelmno − il primo vero e proprio centro di sterminio, in funzione dall’8 dicembre 1941 − si impiegavano camion a gas, modificati in modo che il monossido di carbonio venisse reintrodotto nel camion e uccidesse le persone ammassate all’interno durante il trasporto. Ci sono agghiaccianti testimonianze e relazioni tecniche tedesche sul funzionamento di questo sistema nel film Shoah di Claude Lanzmann, visibili nel video «Il linguaggio delle ideologie assassine».
L’impiego del gas per l’eliminazione di gruppi specifici non era una novità per i nazisti, ma piuttosto l’adattamento a nuove “esigenze” del cosiddetto “Programma T4”. Fin dal 1939, sia nella Polonia occupata sia in Germania, i nazisti censirono negli ospedali handicappati gravi, psicopatici, malati cronici, asociali, portatori di malattie congenite. Poi li uccisero: i bambini piccoli facendoli morire di fame, gli adulti con iniezioni, o col monossido di carbonio. A metà del 1941 già migliaia di bambini erano morti per fame e 71000 adulti erano stati uccisi con i gas. In Germania le operazioni erano camuffate e le morti attribuite a cause naturali; vennero sospese nel 1942, perché molti Tedeschi erano decisamente contrari al programma, nonostante la massiccia propaganda del regime per cancellare la pietà per i disabili. Ma la morte per gas continuò a essere utilizzata nei campi di concentramento e di lavoro per eliminare malati, vecchi e bambini, considerati inutili perché non in grado di lavorare. Il “Programma T4” fu dunque la matrice morale e tecnica dello sterminio di massa degli Ebrei che avvenne poco dopo. “Eutanasia e soluzione della questione ebraica si succedono e hanno la stessa logica biologica”.
Su questa mappa si vedono in nero i centri di sterminio nazisti in funzione fra il 1941 e il 1945: oltre a Chelmno e Belzec, Sobibor, Treblinka, Auschwitz-Birkenau. Tutti in Polonia. In tutti la morte era data col gas, e i corpi venivano poi ridotti in cenere. Alcuni furono annessi a campi pre-esistenti di concentramento e di lavoro, come Auschwitz. Il fatto che alcuni campi di sterminio fossero annessi a campi di concentramento e di lavoro permette ai negazionisti di sostenere che non si ebbe una eccezionalità ebraica. Secondo i negazionisti della Shoah partigiani polacchi, zingari, omosessuali, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici subirono la stessa sorte nei campi di lavoro: tutti venivano sfruttati fino all’esaurimento e poi uccisi, spesso col gas. Questo è vero, ma dalla metà del 1941 per gli Ebrei le condizioni cambiarono. Da allora per gli Ebrei il solo scopo della deportazione fu l’uccisione. Nei campi in cui c’era bisogno di mano d’opera, soprattutto di lavoro specializzato, alcuni venivano lasciati in vita per qualche mese, ma questa era l’eccezione, non la regola. È il caso di Primo Levi, che all’arrivo ad Auschwitz non fu subito ucciso con gli altri perché era un chimico, e il campo aveva bisogno del lavoro dei chimici, che erano pochissimi. Meno del 5% degli internati ebrei ebbe la fortuna di sopravvivere. Partigiani polacchi, prigionieri di guerra, oppositori politici, omosessuali e zingari continuarono a venir internati, sfruttati e puniti con fame, maltrattamenti e lavoro forzato, ma non vennero destinati direttamente all’uccisione immediata. Quasi il 40% di tutti gli internati non ebrei morirono o furono uccisi prima della fine della guerra, ma oltre il 60% riuscì a salvarsi.
Il complesso di Auschwitz - Birkenau è il luogo tristemente più noto, perché fu il maggiore centro di sterminio, oltre che di lavoro coatto per produzioni industriali. Auschwitz I entrò in funzione nel 1940 come campo di detenzione e di lavoro. Nel 1941 si aggiunse Auschwitz II a Birkenau, campo di lavoro con campo di sterminio annesso, poi Auschwitz III, altro campo di lavoro e di sterminio. Dall’apertura alla chiusura a fine 1944 vi furono deportate 1300000 persone, di cui 1100000 vennero uccise. 960000 erano Ebrei. Nell’estate del 1944 ad Auschwitz si uccidevano 12000 persone al giorno, grazie alla organizzazione industriale dello sterminio, utilizzando Zyklon B e forni crematori. Eppure ad Auschwitz paradossalmente sopravvisse una percentuale di Ebrei superiore che negli altri campi, perché c’era bisogno di tanto lavoro. Circa un quarto degli Ebrei in arrivo, anziché andare subito nelle camere a gas, venivano selezionati per il lavoro, rasati e tatuati sull’avambraccio sinistro con un numero che sostituiva il nome. Iniziava così un processo calcolato di disumanizzazione, attraverso fame, sete, malattie, esperimenti medici e umiliazioni di ogni genere. “Il lavoro ad Auschwitz è orrenda parodia del lavoro, senza scopo e senza senso; è fatica come punizione che porta a morte tormentosa”. “Gli internati devono sapere che la pena non ha alcun legame con la colpa e può arrivare in qualsiasi momento. Tutto ciò che accade nel campo di concentramento deve ricordare alle vittime che sono esseri superflui, inutili”.
Nel settembre 1944, in vista della sconfitta e del ritiro dall’Europa dell’Est, Himmler ordinò di iniziare a smantellare l’enorme macchina dello sterminio di massa. Già nel giugno 1942 aveva istituito il commando segreto 1005 appositamente per riaprire le fosse comuni lasciate dalle Einsatzgruppen e bruciare i cadaveri, smaltire le ceneri e cercare di far sparire tutte le tracce. I Tedeschi incominciarono a distruggere i dettagliatissimi documenti dell’attività dei campi, ma non fecero in tempo a distruggerli tutti. Ad Auschwitz l’ultima gassazione di massa ebbe luogo il 17 gennaio 1945, poi vennero distrutti i forni crematori e dieci giorni dopo, il 27 gennaio, le truppe sovietiche entrarono nel campo. Trovarono soltanto 7000 persone. Gli altri prigionieri, ebrei e non ebrei, erano stati costretti dai Tedeschi a marciare verso ovest. Pochissimi sopravvissero alla marcia.
Non si comprese subito il significato di quanto acceduto in quei luoghi. Dice Bensoussan che i liberatori dei campi : “vedono il massacro ma non pensano il genocidio […] per l’impossibilità di cogliere una realtà in totale rottura con le immagini classiche dei disastri di guerra”. Ai contemporanei mancavano i riferimenti intellettuali per pensare il genocidio, per capire l’unicità di quanto accaduto, per accettarne l’orrore.
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