Da un’analisi di Luc Keyser, medico e studioso belga, per Stratfor.
Ognuno di noi per la maggior parte del tempo vive in una “zona di comfort”, seguendo regole e norme della società in cui vive senza nemmeno rendersi conto delle proprie credenze, dei tratti culturali che gli sono stati trasmessi dall’ambiente – sociale, economico, culturale – in cui è nato ed è cresciuto.
I giudizi di valore che normalmente emettiamo dicono molto di noi che giudichiamo, della nostra visione del mondo, della nostra scala valoriale, più che della realtà che giudichiamo. Possiamo partire da questa premessa per analizzare la mentalità degli “estremisti’’.
Se c’è un estremo significa che c’è qualche cosa che non è estremo, che è “normale”. Come distinguiamo ciò che è estremo da ciò che è normale? Di solito stabiliamo dei paletti che limitano il campo della mentalità che noi consideriamo normale e/o accettabile. Il concetto di estremo è dunque relativo, perché dipende da che cosa consideriamo ‘normale’, e la ‘normalità’ dipende dalla cultura.
Facciamo un esempio: se chiedessimo a un Italiano medio di elencare una serie di valori che considera imprescindibili per il buon funzionamento della società, probabilmente citerebbe la famiglia, la libertà, la democrazia, il diritto al lavoro, etc. Immaginiamo ora di porre la stessa domanda a un Talebano che vive nelle montagne dell’Afghanistan: la risposta sarebbe completamente diversa, probabilmente citerebbe come valori la religione e la tribù.
Che impatto potrebbe avere una performance di Conchita Wurst, drag queen con la barba vincitrice dell’Eurovision Song Contest 2014, di fronte a una delegazione talebana? L’impatto sarebbe quasi certamente sconvolgente, perché i Talebani si troverebbero davanti a una nuova e (forse) sconosciuta forma di “estremo”. In Europa invece nessuno perde il sonno per una tale performance.
Le culture si sono sempre incontrate/scontrate nella storia. Ma le innovazioni tecnologiche degli ultimi anni hanno contratto la dimensione spazio-tempo. Culture molto distanti d’un tratto si sono trovate a stretto contatto. È capitato altre volte nella storia – pensiamo ad esempio all’assalto dell’aviazione aerea giapponese a Pearl Harbor o, tornando indietro nel tempo, alla scoperta dell’America.
Secondo De Keyser l’incontro/scontro ha conseguenze minime se una delle due parti è troppo debole per resistere o se viene “corteggiata” dalla cultura forte. La reazione diventa invece esplosiva quando si incontrano/scontrano due culture forti, e in questo caso sono i fattori classici a determinare l’esito dello scontro: geografia, storia, economia, demografia.
Oggi le culture possono incontrarsi/scontrarsi anche senza confinare fra loro. La distanza in passato costituiva una sicurezza, ma ora ci si sposta da una parte all’altra del globo in aereo con grande facilità. Il terrorismo islamista di matrice europea è esemplare: con pochi semplici passaggi su internet i potenziali terroristi possono acquistare un biglietto per la Turchia, attraversare il confine e raggiungere la Siria. Lo stesso tragitto può essere percorso a ritroso.
È possibile creare un ponte fra culture radicalmente diverse? In alcuni casi può esserci qualcuno che svolge il ruolo di “mediatore” – ad esempio in alcune regioni del Sudamerica gli indios più inseriti mediano fra le tribù dell’Amazzonia e i discendenti dei colonizzatori. Ma è davvero possibile creare un ponte fra un Talebano e uno Svedese?
Nella pratica le società hanno bisogno di stabilire che cosa considerano estremo in assoluto, cioè al di fuori dei comportamenti ‘normali’ che la nostra società è disposta ad accettare. Anche tali confini dipendono dal nostro livello di elasticità di fronte allo stress. È chiaro inoltre che i confini del ‘normale’sono andati allargandosi nel tempo di fronte alla crescente complessità del mondo.
De Keyser invita gli studiosi di scienze sociali a concentrarsi sugli elementi che determinano il limite del ‘normale’ nelle nuove generazioni, più che sui semplici dati demografici ed economici, per prevenire comportamenti dannosi. Si potrebbero identificare e misurare in modo scientifico elementi sino ad oggi trascurati, ma importantissimi, quali il numero di legami familiari nei primi anni di vita, o la percentuale di ragazzi nelle famiglie immigrate di seconda o terza generazione che perdono il rispetto per gli anziani – fenomeno che ha legami diretti con il tasso di delinquenza.
Una donna marocchina emigrata in Belgio negli anni ’60 mi ha raccontato di essere impaurita dai recenti attentati avvenuti in Francia, non soltanto perché teme la reazione negativa dei cittadini belgi nei confronti della comunità islamica, ma soprattutto perché si sente impotente di fronte al pericolo che i suoi figli, poco più che adolescenti, si radicalizzino a forza di essere bombardati dai video che l’ISIS trasmette costantemente via internet. Ormai li trovano ‘normali’, e lei non sa che fare.
A cura di Davide Meinero
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