L’economia in un mondo
con popolazione scemante

22/02/2015

Il tasso di fertilità si sta riducendo in tutti i Paesi. Per mantenere stabile la popolazione ogni donna dovrebbe avere in media 2,1 figli; al di sopra di questo tasso la popolazione cresce, al di sotto diminuisce. Nelle aree pienamente industrializzate o entrate in condizioni post-industriali il tasso è stabilmente sotto il 2,1 da tempo, in paesi come il Messico e la Turchia è appena superiore, nei paesi più poveri non è previsto che il tasso possa scendere a 2,1 prima della fine del secolo. Questo significa che la crescita della popolazione mondiale in questo secolo sarà concentrata nei paesi poco sviluppati, mentre i paesi sviluppati perderanno popolazione. Significa anche che dal prossimo secolo la popolazione mondiale cesserà di crescere e inizierà a decrescere.

Il processo dipende soprattutto dall’urbanizzazione di massa. In società agricole o scarsamente industrializzate i bambini costituiscono un vero e proprio elemento produttivo: dall’età di sei anni li si può far lavorare, dunque diventano una fonte di guadagno. E in mancanza di sistemi di previdenza sociale o pensionistici una famiglia numerosa può sostenere più facilmente genitori anziani.

In una società urbana il valore economico dei bambini tende a sparire. Da fattori produttivi diventano consumatori. Nelle società industriali urbanizzate le possibilità di lavorare in tenera età diminuiscono, perché la formazione necessaria per lavorare è di lunga durata. I figli vanno mantenuti molto più a lungo, costano un sacco di soldi e non guadagnano. Così si hanno meno figli e la popolazione diminuisce. L’urbanizzazione legata allo sviluppo industriale non è l’unico fattore della decrescita, ma è certamente il fattore principale.

Alcuni ritengono che dal punto di vista economico questa sia una disgrazia. Se la popolazione continua a diminuire, un numero sempre minore di lavoratori dovrà sostenere il peso di molti pensionati, specialmente se si considera che nei paesi industrializzati l’aspettativa di vita continua ad aumentare.

La soluzione più scontata è l’immigrazione, che però non è priva di problemi e contraddizioni, come dimostrano le difficoltà del Giappone e di gran parte dei Paesi europei nell’integrare molti immigrati.

Ma la diminuzione di popolazione non è necessariamente un problema per l’economia.

Poniamo che la popolazione diminuisca del 20%: se la curva del PIL facesse altrettanto, il PIL pro capite non subirebbe alcuna variazione. Il problema si pone se il PIL diminuisce molto più velocemente della popolazione o in modo del tutto decorrelato. Ma non c’è motivo di ritenere che il PIL precipiti se la popolazione diminuisce. Il capitale di base di una società, ad esempio gli impianti produttivi, non si dissolve con la diminuzione della popolazione. È anche possibile che la popolazione diminuisca, ma il PIL diminuisca meno o che addirittura cresca. Questo è teoricamente possibile perché uno dei fattori fondamentali della produzione è il progresso tecnologico, che permette di aumentare la produttività.

Gli effetti della riduzione della popolazione non vanno a incidere tanto sul PIL pro capite, quanto sul potenziale creativo e inventivo dell’umanità e sul rapporto tra lavoro e capitale.

Negli ultimi cinque secoli la popolazione è sempre aumentata velocemente, perciò durante tutta la storia della industrializzazione e del capitalismo c’è sempre stato un surplus di lavoro. Per la prima volta da 500 anni a questa parte la situazione si sta ribaltando. Con la riduzione della popolazione diminuirà la forza lavoro, quindi il costo del lavoro aumenterà. In passato l’elemento scarso è sempre stato il capitale; ma in futuro il capitale, inteso in senso stretto come mezzi di produzione, sarà in surplus, mentre la forza lavoro sarà scarsa. Gli impianti esistenti e quelli che verranno creati saranno sottoimpiegati, con conseguente calo della remunerazione del capitale. 

Se questo avverrà, entreremo in un periodo in cui il denaro sarà poco costoso, mentre il lavoro lo sarà sempre più. Per la prima volta nella storia umana si invertirebbe il rapporto tra lavoro e rendita del capitale! Il Boston Consulting Group ha riassunto nella mappa a fianco le carenze e gli eccessi di manodopera prevedibili nel 2020.

Anche la distribuzione della ricchezza verrebbe rivoluzionata. Oggi l’accumulazione della ricchezza è tornata a favorire drammaticamente una piccola percentuale di popolazione; la forbice tra la classe media e le classi medio-alte si è allargata. Se il costo del denaro diminuisse e il prezzo del lavoro aumentasse, le disuguaglianze tenderebbero ad annullarsi.

Le tre risorse primarie necessari alla produzione sono terra, lavoro e capitale. Il valore della terra, intesa per estensione come proprietà, muta in relazione alla popolazione. Con la riduzione della popolazione la domanda di terra si contrarrebbe, abbassando il costo delle case e dello spazio.

La strada della de-popolazione sarà difficoltosa e piena di crisi finanziarie. Caleranno di valore i tesoretti accumulati dalle classi medie e alte, i mercati finanziari brancoleranno nel buio, con tassi di remunerazione del capitale costantemente molto bassi. Ma il declino della popolazione è un fenomeno largamente prevedibile: ci si può adeguare per tempo. Non sarà così in tutti i paesi. I paesi sottosviluppati vedranno peggiorare la loro condizione dopo che i paesi avanzati avranno fatto i loro aggiustamenti, e ciò causerà un ulteriore disequilibrio nel sistema. 

Anche se le fattezze di questa futura realtà non sono ancora chiare, è evidente che richiederà grandi riadattamenti. I primi ad adattarci dovremo essere noi Italiani, che insieme ai Giapponesi e ai Tedeschi godiamo del ‘privilegio’ di avere le società più vecchie, che si contraggono più velocemente. Faremo da esempio al mondo?

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