Europa e Russia nella visione di lungo termine

09/03/2015

In un articolo per Stratfor, Ian Morris guarda al conflitto in Ucraina con l’ottica di lungo termine che sta affermandosi negli Stati Uniti come il nuovo approccio alle scienze umane. Il risultato è affascinante, e anche preoccupante. Ne diamo di seguito un riassunto.

Il grande storico Fernand Braudel, dice Morris, disse che dovremmo pensare al tempo a tre livelli differenti. Il primo è il lungo termine, dove i cambiamenti geografici avvengono attraverso i millenni e il cambiamento è quasi impercettibile. Il secondo è il medio termine, nel quale la storia istituzionale si dispiega di secolo in secolo con “lenti ma percettibili ritmi”. Il livello finale è il breve termine, dove gli eventi – o “le creste di schiuma che le maree della storia portano sulle loro schiene forti” – si manifestano nel ciclo delle 24 ore.

La più importante forza di lungo termine da considerare quando proviamo a comprendere le dinamiche Europa-Russia è il processo in cui i grandi passi avanti dell’umanità – l’invenzione dell’agricoltura, la città, gli Stati, gli Imperi e l’industria dei combustibili fossili – si verificano in punti geograficamente privilegiati e di qui si diffondono verso l’esterno, spesso a un ritmo impercettibile, creando ondate di conflitti lungo le periferie.

Possiamo esaminare lo stesso fenomeno da una prospettiva a medio termine per vedere i reflussi che si oppongono al flusso d’espansione dal centro, oppure da un punto di vista a breve termine per osservare i dettagli dei conflitti che costantemente si aprono nelle zone di confine intorno al centro in espansione. Per capire chiaramente l’escalation del conflitto in Ucraina, dobbiamo guardare alla storia europea degli ultimi 2000 anni attraverso tutte e tre queste lenti.

Quando Roma inghiottì le zone urbane centrali dell’Antico Egitto, della Mesopotamia e della Grecia, creò nuove zone di confine lungo il Reno e il Danubio, la Germania e i Balcani divennero le nuove periferie dell’Impero. I Germanici impararono molto dall’Impero sull’economia, sull’organizzazione e sulla guerra, diventarono rivali temibili di Roma e contribuirono energicamente al suo collasso tra il 200 e il 500 d.C. Ma nemmeno la caduta dell’Impero Romano poté arrestare il processo di espansione a lungo termine dal centro di sviluppo verso la periferia. Nel 750 d.C. un nuovo potente centro musulmano prese forma nel Mediterraneo, spingendo per la prima volta le periferie delle società agrarie meno sviluppate a est dell’Elba e a nord dei Carpazi. Fin oltre l’inizio del secondo millennio gli Stati che si stavano formando tra gli agricoltori dell’attuale Polonia, Ungheria e Ucraina dovettero combattere ferocemente contro l’espansione dei Germanici, degli Arabi, dei Persiani e dei Turchi e contemporaneamente dovettero legarsi a uno dei due centri in espansione, convertendosi o al Cristianesimo o all’Islam.

Poi il ritmo di espansione cominciò ad accelerare. Dopo il 1400 lungo le coste atlantiche europee prese forma un nuovo centro, che sfruttò il commercio oceanico e verso il 1750 iniziò a muoversi verso la democrazia e l’industrializzazione. Lungo il confine est, una semi-periferia emerse in Lituania, Polonia e Svezia e, al di là di questa, ne emerse anche una lontana, che raggiunse Mosca. Intrappolati tra i Khanati della Mongolia e gli altrettanto aggressivi vicini occidentali, i Russi impararono dai loro concorrenti europei più sviluppati come condurre guerre di tipo moderno. Tra il 1550 e il 1680 Mosca assorbì l’intera Siberia e cominciò una serie di lotte contro il centro di espansione occidentale, che continua ancora oggi. All’inizio fu l’Ovest a prendere l’iniziativa: nel 1610 l’esercito polacco prese Mosca, nel 1709 Carlo XII di Svezia marciò fino a Poltava, in Ucraina. Ma quando gli sforzi di modernizzazione di Caterina e Pietro il Grande fecero il loro effetto, l’equilibrio di potere si spostò. La Russia divenne l’arbitro delle grandi dispute di potere europee e nel 1799 inviò il suo esercito fino in Svizzera. Napoleone saccheggiò Mosca nel 1812, ma i Russi occuparono Parigi solo due anni dopo.

La Rivoluzione Industriale ripristinò il vantaggio occidentale: dopo la vittoria anglo-francese in Crimea nel 1856, le forze tedesche invasero gran parte della Russia nel 1918 e per poco non presero Mosca nel 1941. La rapida industrializzazione dell’Unione Sovietica la fece tornare a Berlino nel 1945, solo per vedere il centro occidentale respingerla indietro, oltre i confini del XVIII secolo, dopo il 1991. Nell’Europa dell’Est la competizione continua tutt’oggi.

In questo contesto, l’uso della forza da parte della Russia nel 2014 non dovrebbe sorprenderci. Le zone di confine tra i centri in espansione e le loro periferie sono sempre state teatro di violenti focolai di guerra sulla terra. Negli ultimi 1000 anni pochi focolai sono stati così attivi come quelli dell’Europa dell’Est. La nuova Europa non è così nuova, in fin dei conti.

La lezione della storia d’Europa sembra essere che, se l’Europa occidentale deve rimanere una delle regioni più sviluppate del mondo, deve riuscire ad attrarre l’Europa dell’Est nella sua orbita. E se la Russia dovesse trasformarsi da una periferia in un centro, come l’Europa occidentale fece 500 anni fa, dovrebbe ottenere lo stesso risultato.

Guardando a est rispetto all’Atlantico, negli anni ’90 i leader occidentali interpretarono la geografia attraverso le lezioni del 1814 e del 1945, concludendo che bisognava contenere la Russia e comunque allontanarla dal centro occidentale. Guardando a ovest da Mosca, i leader russi interpretarono la geografia nei termini del 1610, 1709, 1812 e 1941, concludendo – come fece Vladimir Putin 10 anni fa – che “il collasso dell’Unione Sovietica fu la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”. Dalla prospettiva di Putin, il propendere dell’Ucraina verso l’occidente rischia di far tornare l’equilibrio di potere precedente all’epoca di Pietro il Grande e della Grande Caterina, che annesse la Crimea nel 1783. Dalla prospettiva americana, invece, l’uso della forza da parte della Russia per invertire il verdetto storico del collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 rischia di riportarci alla Guerra Fredda.

Se i leader occidentali e russi avessero guardato con una prospettiva di lungo termine al quarto di secolo passato, forse avrebbero agito diversamente. La millenaria Nuova Europa continuerà a svilupparsi e a convergere con le economie e i valori occidentali, e questo dà fondamento alla previsione di ulteriori conflitti nelle zone periferiche che si estendono dall’Estonia all’Ucraina. La dura logica delle relazioni centro-periferia continuerà a manifestarsi, come è successo per millenni.

Se l’analisi di Morris è corretta, sarà meglio prepararsi – e non dimenticare che altre pericolose ondate di reflusso toccano le sponde d’Europa attraverso il Mediterraneo, che rimane un’altra turbolenta periferia d’Europa dai tempi dell’Impero Romano. 

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