La resilienza dello stato e del governo cinese lascia l’Occidente stupefatto da decenni. La guerra del 1962 contro l’India fu la prima prova di questa grande forza. L’India attaccò in Tibet, dove era in corso da anni la guerriglia anti-cinese, in un momento particolarmente difficile, subito dopo la terribile carestia degli anni 1960-61, che colpì duramente la popolazione cinese, riducendola del 10%. Ciononostante l’India fu sconfitta. La sconfitta fu sicuramente dovuta anche a errori tattici commessi dall’esercito indiano, ma stupisce che l’attacco in un momento e in un luogo così vulnerabile non abbia scatenato tumulti, come quelli che scoppiarono durante le Guerre dell’oppio, intorno al 1840. Il potere comunista dei primi anni Sessanta era evidentemente più solido di quello imperiale un secolo prima. Lo stesso anno Chiang Kai-shek, generale nazionalista fuggito a Taiwan nel 1949, progettò di riconquistare la Cina continentale. Chiang aveva informazioni precise circa lo stato di povertà in cui versava il paese dopo la grande carestia, dovuta al fallimento del Grande Balzo in Avanti voluto da Mao nel 1957. Sembrava il momento migliore per abbattere il governo di Mao. Ma anche le sue prime operazioni ai confini con lo Yunnan non ebbero successo.
Negli ultimi venticinque anni almeno quattro crisi avrebbero potuto rovesciare il governo: la protesta di piazza Tiananmen nel 1989, la manifestazione di Falun Gong nel 1999, l’epidemia di SARS nel 2003 e le campagne di Bo Xilai nel 2012. A eccezione della SARS, le altre crisi furono provocate da profonde spaccature nella leadership del partito. Queste intense lotte fra fazioni hanno causato più danni alla politica cinese dell’interferenza straniera, tuttavia non ci sono state ripercussioni sulla società. Nemmeno le notizie delle recenti proteste e dimostrazioni a Hong Kong hanno causato sintomi di contagio nelle vicine province cinesi.
Come si spiega tanta stabilità? Il popolo cinese sta vivendo il periodo migliore della sua storia moderna, e non ha esperienze di democrazia da rimpiangere: non è questo il momento di una rivoluzione.
Ciò non significa che focolai rivoluzionari o richieste democratiche non si faranno mai sentire: la situazione potrebbe cambiare nel giro di dieci anni. Due elementi saranno determinanti: l’economia cinese avrà un peso maggiore di quella degli USA, e ciò attirerà e spaventerà gli altri paesi. Inoltre gran parte della popolazione cinese avrà lo stesso potere d’acquisto della classe media occidentale, e le imprese private dovranno pagare molte più tasse di ora. In generale però i Cinesi avranno un controllo molto limitato sull’utilizzo dei soldi delle tasse – saranno dunque molto tassati ma scarsamente rappresentati in politica.
È possibile che il governo attui riforme politiche limitate per evitare troppe tensioni: ad esempio migliori rapporti con l’Occidente, apertura della politica agli imprenditori migliori e più potenti. Il Partito ha spesso dimostrato di sapersi adattare alle circostanze, concedendo quanto necessario. Ora ad esempio il Partito è impegnato a combattere la corruzione nel sistema giudiziario e burocratico, dove tangenti e favoritismi influenzano i processi e le procedure ufficiali.
Il pericolo maggiore per la stabilità sono le lotte di potere ai vertici, sommate alla mancanza di trasparenza nel processo politico interno. Lo dimostra il caso di Bo Xilai, l’ultimo fra i casi che si presentano in media ogni dieci anni (Tiananmen nel 1989, Falun Gong nel 1999, Bo Xilai nel 2012). In mancanza di elezioni pubbliche che regolino la lotta di potere propria di qualsiasi organismo politico, è sempre possibile che shock improvvisi causino terremoti violenti.
La seconda causa di instabilità è di natura culturale. I vecchi valori del confucianesimo sono stati distrutti dal maoismo, che a sua volta è stato eliminato dalla modernizzazione di Deng (iniziata nel 1978): il popolo cinese si trova ora in un profondo buco nero culturale ed etico. Il presidente Xi Jinping vuole fondare una “nuova cultura” pubblica. Ma fondare un nuovo sistema di valori è difficile, è più facile distruggerlo. Si tratta di una sfida di lungo termine, che richiederà decenni. I Cinesi non sanno quali siano i loro diritti e doveri, che atteggiamenti sociali siano giusti o sbagliati, dato che gli standard per definirli sono cambiati rapidamente nel giro di pochi decenni. Bisognerà costruire un sistema che, pur preservando la cultura tradizionale, si integri in quella globale, dominata per secoli dai valori occidentali.
Tra circa dieci anni i giovani nati dopo il 1978 saranno la maggioranza della forza lavoro in Cina. Cresciuti in un ambiente sociale e politico molto più libero rispetto a quello dei loro padri, potrebbero aspirare alle stesse libertà di cui godono gli occidentali: per questo sarà difficile reprimere la libertà ancora per molto. Sono tre gli elementi che garantiscono la stabilità nella società moderna: la possibilità di mobilità sociale, il miglioramento delle prospettive economiche generali, la libertà politica. Lo stesso problema potrebbe emergere in Cina nel giro di qualche decennio, quando grandi gruppi economici potrebbero dominare il mercato e la crescita del PIL si sarà stabilizzata. Ma tante cose devono cambiare prima che ciò accada.
Infine, tra circa dieci anni la preminenza economica e la peculiarità politica della Cina saranno ancora più evidenti: il PIL della Cina avrà un peso maggiore di quello degli USA e gli altri paesi, soprattutto quelli industrializzati e democratici, faranno pressione su Pechino a causa della diversità del suo sistema politico.
Tutte queste cause di instabilità inizieranno a maturare proprio quando Xi, ormai anziano, lascerà l’incarico a un nuovo presidente. I passaggi di potere sono sempre stati momenti di crisi; se Xi non preparerà a dovere la transizione istituzionale e il cambiamento di leadership la situazione potrebbe degenerare, soprattutto perché le campagne anti-corruzione gli avranno creato molti nemici tra i burocrati.
La leadership del partito è a conoscenza del rischio e ha tempo per prepararsi. Il punto è: lo farà?
Se la Cina riuscirà a gestire queste sfide, saremo testimoni di un vero e proprio ge ming, un cambiamento nel Mandato del Cielo dopo una rivoluzione-lampo. Questa interpretazione è entrata nell’uso comune probabilmente per giustificare la ribellione di Liu Bang contro la dinastia Qin nel 213 a.C. e la fondazione della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.). Ma nel suo significato originario ge indica propriamente la muta del serpente, il che ricorda più una riforma graduale e armoniosa che una rapida rivoluzione. In questo senso, il cambiamento del Mandato del Cielo potrebbe avvenire tra una decina d’anni. Di conseguenza, se non ci saranno gravi interferenze nel breve termine, e se le sfide sul medio e lungo termine saranno affrontate adeguatamente, la Cina sarà stabile a lungo. Tuttavia, affinché la transizione sia armoniosa, i preparativi devono iniziare al più presto.
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