Per stilare questa newsletter utilizziamo idee e informazioni raccolte leggendo analisi di decine di centri studi in diverse parti del mondo. Oggi avvertiamo uno sfasamento piuttosto netto fra gli interessi delle nostre fonti e le urgenze pressanti per noi Italiani ed Europei. Soltanto un paio di anni fa i problemi e gli interessi geopolitici dei Paesi sviluppati del mondo intero erano convergenti; oggi l’Europa, in particolare l’Italia, ha problemi e interessi regionali che ci allontanano dalle prospettive globali, anche perché ci scopriamo non attrezzati per affrontare neppure le sfide regionali.
Oggi dalle Americhe, dal Sudafrica, dall’Australia e dalla Cina giungono analisi e previsioni sull'area del Pacifico, sul Sudamerica, sui paesi della Baia del Bengala, o discussioni dense di dati sullo spazio come nuova frontiera geopolitica per il controllo delle rotte globali e della sicurezza dei continenti. Dal Sudafrica e dall'Australia si aggiungono analisi dei paesi in via di sviluppo lungo le coste dell'Oceano Indiano, e del ruolo della Cina in Africa. Dalla Cina si susseguono informazioni sull’evoluzione interna dell’economia e della società, che è un elemento determinante per prevedere le evoluzioni globali del prossimo decennio.
Stanno invece sparendo gli studi sull’Ucraina e sui terribili avvenimenti nel Mondo arabo ai nostri confini: se ne dà notizia, ma come si dà notizia di avvenimenti gravi che avvengono in zone remote del mondo, troppo lontane e troppo marginali per avere peso negli equilibri globali.
In questa zona remota del mondo ci troviamo noi, con i nostri duri problemi: la crisi economica che non demorde, la necessità di riforme controverse, la barbarie islamista ai confini, il calo demografico, le difficoltà di integrazione dei migranti. Perché tutto questo sembra non contare per il resto del mondo? Perché il resto del mondo ormai potrebbe fare a meno del petrolio del Golfo (ce n’è tanto in tutto il mondo), e all’incremento dei commerci con l’Europa, la cui economia oggi rappresenta ancora un buon 22% di quella globale, ma è in rapida discesa rispetto al 30% del 1990.
Ma soprattutto l’Europa non ha peso né politico né militare di rilievo. Abbiamo governi nazionali che non hanno i mezzi e il peso sufficiente per affrontare con successo non soltanto le sfide globali, ma neppure quelle regionali, come dimostrano la crisi in Ucraina e quelle nei paesi del Mediterraneo. Non abbiamo politiche comuni, né difesa comune, che permetta all’ Europa di contare davvero alla propria periferia e nel mondo. Il mondo arabo e la Russia sono le periferie d’Europa verso le quali dovremmo avere una politica chiara, forte, unica. Allora saremmo uno dei poli del mondo. Per ora siamo una regione avviata al declino, priva di un futuro chiaro, afflitta da problemi crescenti. Senza un governo e una politica comune, l’Europa potrebbe cadere in un nuovo Medio Evo, cioè in un periodo di istituzioni pubbliche insufficienti e inefficienti.
Troveremo la capacità di reagire? Costruiremo gli Stati Uniti d’Europa?
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