La ricostruzione della Somalia
e il ruolo della comunità internazionale

22/04/2015

“Less is more: the role of outsiders in ‘fixing’ Somalia” è il titolo di un paper del bravissimo Greg Mills, della Fondazione Brenthurst (disponibile in calce).

Mills analizza i quattro temi principali (sicurezza, governabilità, sviluppo e impegni internazionali) cui la classe dirigente somala, insieme alla comunità internazionale, deve dedicarsi perché la Somalia possa tornare a essere uno Stato sovrano e pacificato.

Sul piano della sicurezza, la missione dell’Unione Africana ha conseguito notevoli progressi dal 2007, riuscendo a respingere e a contenere il gruppo islamista Al-Shabaab, che da anni opera nel paese utilizzando guerriglia e attentati terroristici. L’obiettivo deve essere il ripristino di un esercito nazionale (l’esercito somalo fu sciolto nel 1991, allo scoppio della guerra civile) capace di tenere testa a potenziali nemici e di una forza nazionale di polizia ben addestrata ed equipaggiata, trasparente e rispettosa dei diritti umani, che sappia garantire la sicurezza nelle città e che sia fedele al governo e non al sistema di clan su cui ancora si fonda la struttura politica del paese.

Riguardo al sistema di governo, nel 2012 sono stati raggiunti accordi provvisori su una nuova costituzione, che ristabilisce la Somalia come stato federale. Hassan Sheikh Mohamud è stato eletto ottavo presidente del paese.

Nel 2013 è stato concordato, dopo consultazioni tra il Parlamento federale, la società civile e la comunità internazionale, il “Somali Compact”, che imposta una serie di principi e di priorità per lo sviluppo del paese: dialogo politico inclusivo, adozione di una costituzione federale entro dicembre 2015 ed elezioni credibili entro il 2016.

I somali, storicamente, si sentono più arabi che africani e sono fortemente nazionalisti − avendo in comune lingua, cultura, etnia e religione. Il somalo è stato codificato soltanto negli anni ’70, quando il governo lanciò una campagna di alfabetizzazione massiccia. Secondo i sondaggi, una percentuale consistente di popolazione rimpiange l’epoca di Siad Barre, che scappò da Mogadiscio nel 1991 dopo più di vent’anni di dittatura personale.  Significa che la popolazione è oggi favorevole a un governo forte e centralizzato.

La comunità internazionale pensa di integrare il Somaliland, indipendente dal 1991, all’interno di una grande Somalia. In Somaliland il sistema dei clan funziona come forza di coesione e la democrazia funziona sulla base del principio “una persona, un voto”. Però il Somaliland è governato in pratica da un solo clan, mentre nel resto della Somalia bisogna destreggiarsi tra gli interessi e le ambizioni di vari clan in competizione fra loro. Il nazionalismo somalo non è un elemento sufficiente a garantire l’unità del paese di fronte a una struttura politica basata sui clan, che si contendono gli spazi economici. La difficoltà ora è ideare e implementare un accordo politico stabile fra le parti che, senza ricorrere a nepotismo e corruzione, riesca a restringere lo spazio di manovra di Al-Shabaab.

La Somalia ha un PIL pro capite tra i più bassi del mondo, non è membro del WTO (nemmeno come osservatore) e non fa parte di nessuna organizzazione commerciale regionale. Le ultime banconote ufficiali sono state stampate nel 1990, tutte quelle prodotte da allora sono falsi.  Lo scellino somalo, che nessuno più voleva, ha riacquistato valore a partire dal 2013, grazie all’aumentata sicurezza, alla spinta data all’economia dalle grandi somme di denaro fornite dalla comunità internazionale per aiutare a ricostruire il paese e alla riduzione della valuta falsa in circolazione. Il Somaliland invece ha una propria moneta (non riconosciuta al di fuori del paese).

L’economia somala spera nel gas e nel petrolio: la Soma Oil ha firmato un accordo con il governo federale somalo per esplorare in profondità le acque al largo della costa, mentre Somaliland e Puntland hanno firmato accordi di sviluppo separati.

Il 70% della popolazione somala ha meno di 30 anni.  Il sistema educativo ha cessato di funzionare e c’è stata una consistente “fuga di cervelli”.  Sono le aziende private, per lo più costituite all’estero per via dell’instabilità della Somalia, a fornire i servizi di base, anche nel campo dell’istruzione, ma raggiungono appena il 20% dei bambini. Il restante 80% dei bambini è senza istruzione, e questo enorme numero di giovani analfabeti non soltanto ha ridotte possibilità d’impiego, ma è terreno fertile per il reclutamento da parte di gruppi armati islamisti.

L’ultimo tema importante è l’impiego di forze internazionali in Somalia. Nel settembre 2013 è stato concordato a Bruxelles il “New Deal”, per cui il governo somalo accetta, in cambio del sostegno internazionale, di mostrare tolleranza zero verso corruzione e nepotismo. Il paese più impegnato in Somalia è sicuramente la Turchia: presidente Erdogan è stato in visita a Mogadiscio tre volte dal 2011;  Ankara è molto attiva nei progetti di ricostruzione di strade, ospedali e scuole.

Ma il problema principale è sempre lo stesso: uno stato non può essere completamente (ri)costruito dall’esterno: è la leadership locale, insieme alla società civile e alla popolazione, a doversi far carico delle sfide e cercare di vincerle. L’aiuto straniero può essere, come dice il nome stesso, semplicemente un aiuto.

C’è ancora molto da fare per riportare la Somalia in una situazione di pace e stabilità, ma alcuni fattori indicano che il tragitto intrapreso (forse) è quello giusto. La capacità commerciale dei Somali, unita agli aiuti internazionali, può essere una carta vincente, ma è necessaria una leadership politica decisa e una soluzione politica praticabile.

La ricostruzione richiede considerevoli risorse e molta pazienza. I prossimi 18 mesi, fino a settembre 2016, saranno decisivi: probabilmente ci sarà un accordo sulla costituzione, verrà raggiunto un compromesso sulle elezioni e si cercherà di raggiungere una stabilità politica interna, per isolare e annientare Al-Shabaab.

Auguri, Somalia! Speriamo che il primo paese a disfarsi nell’islamismo più barbaro sia anche il primo paese a ricostituire istituzioni funzionanti. 

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