Tratto da un articolo di Kamran Bokhari per Stratfor.
L’islamismo jihadista non può essere sconfitto senza confrontarsi con l’ideologia che lo sostiene. Sono passati ormai quattordici anni dall’11 settembre, ma non si sono fatti passi avanti in questo campo: si è discusso molto dell’islam politico, ma non si è giunti a una definizione condivisa di che cosa sia il jihadismo da combattere. Non abbiamo cioè una definizione del nemico e della strategia per vincerlo. Oggi si parla di “lotta all’estremismo violento”, mentre in passato si parlava di “controterrorismo”, “de-radicalizzazione”. Erano tutte risposte alla domanda ‘come combattere l’emergere di attori musulmani non statali determinati a fomentare insurrezioni religiose?’
“Controterrorismo”, l’espressione impiegata nei primi tempi, significa un insieme di azioni di diversa natura − economica, diplomatica, militare, di intelligence o di polizia − volte a prevenire gli attacchi. Ma poiché le azioni dei terroristi sono influenzate dall’ideologia, ben presto si è parlato di “de-radicalizzazione”, cioè di azioni volte a portare su posizioni di massa individui o gruppi che si sono radicalizzati. Si tratta di convincere organizzazioni violente a disarmarsi e a continuare a perseguire i propri obiettivi con mezzi pacifici. Ma il termine “de-radicalizzazione” è fuorviante, perché questi gruppi continuano a sottoscrivere la maggior parte delle loro vedute radicali anche dopo aver abbandonato le armi. È dunque necessario cercare un’altra via: sostenere un’interpretazione alternativa dell’Islam, da contrapporre all’ideologia radicale. Oggi molti esperti considerano l’islam “moderato” il vaccino filosofico contro il jihadismo. Gruppi musulmani diversi si presentano come alternative accettabili all’islam radicale: si definiscono islamisti moderati, tradizionalisti o conservatori, modernisti o liberali. Alcuni sono dichiaratamente secolarizzati. Inoltre un certo numero di regimi islamici sostengono di abbracciare versioni più moderne e moderate di Islam. Ogni variante di Islam contiene a sua volta altre varianti interne, talvolta in contraddizione tra loro. È diventato così chiaro che i termini “radicale” e “moderato” sono fuorvianti e che la loro definizione è troppo vaga per aiutare la comprensione.
Col passar del tempo si è compreso che ci si deve concentrare sull’estremismo, perciò ora ci si pone l’obbiettivo di “contrastare l’estremismo violento”. Come? Cercando di delegittimare la narrazione e la dottrina jihadista, denunciando l’uso improprio e la ridefinizione strumentale dei principi cardinali dell’Islam. Ma si tratta di un’impresa titanica che richiederebbe di definire − come ha scritto Jillian Schwedler in Faith in moderation − i confini delle azioni legittime per una comunità religiosa di un miliardo e mezzo di persone. La storia è piena di conflitti innescati dai tentativi di un gruppo di imporre a un altro gruppo la propria definizione di ciò che è ortodosso.
Nella parte di mondo in cui vige la separazione tra stato e religione molti ritengono che i governi debbono combattere militarmente gli islamisti senza farsi trascinare in guerre ideologiche. Ma la sfida posta dagli islamisti insurrezionalisti è di natura ideologica, non la si può contrastare senza una “contro-narrazione”.
Gli Americani e gli Europei sono visti come Crociati in guerra contro l’islam, perciò i loro tentativi di contrastare l’ideologia jihadista sono automaticamente screditati, così come gli sforzi dei Musulmani considerati filo-occidentali. Ora però molti stati musulmani hanno iniziato a mobilitarsi in tal senso, perché hanno capito di essere i primi e principali bersagli dei jihadisti. Ma non si vede ancora né quali “contro-narrazioni” possano essere davvero efficaci, né chi dovrebbe formularle.
Perché una narrazione ideologica sia credibile, i destinatari devono riconoscere la legittimità religiosa di chi la formula. “Secolarismo” per gli Islamici è per lo più una parolaccia, perché viene inteso come rinuncia alla religione, non come atteggiamento neutrale verso di essa. I Musulmani sono per lo più convinti che i Cristiani e gli Ebrei abbiano perso la loro religiosità per il fatto di aver abbracciato quelle che il filosofo iraniano Abdolkarim Soroush chiama “idee extra-religiose”, e che ora vogliano costringere i Musulmani a fare altrettanto. Nel confronto ideologico contro il jihadismo non si fanno passi avanti perché molti Musulmani lo vedono come una guerra all’Islam. Ecco perché soltanto dall’interno del mondo islamico potrà emergere una contro-narrazione efficace, per cercare di arrivare a prescrizioni più moderne su che cosa significhi essere musulmano oggi, senza dare l’impressione di previlegiare la ragione rispetto alla rivelazione, cosa inaccettabile per la gran massa dei Musulmani (come sottolineò Papa Ratzinger nel discorso di Ratisbona).
L’islamismo è nato come rifiuto del secolarismo occidentale e perdura perché i Musulmani non sono riusciti a sviluppare una loro versione del secolarismo, in linea con il loro ethos religioso. Il jihadismo è la risposta alla disillusione rispetto al salafismo classico, caratterizzato da un approccio a-politico, che non offriva gli strumenti per “correggere” le situazioni contrarie ai principi dell’Islam, all’interno del mondo musulmano. Il salafismo politico, come quello praticato dal partito egiziano al-Nour, ha le potenzialità per affrontare queste questioni e fornire un’alternativa al jihadismo. Ma il salafismo politico può sopravvivere soltanto in un contesto almeno minimamente democratico: non può essere applicato in paesi come l’Arabia Saudita, in cui non si tengono elezioni, o in Libia, Siria e Yemen, dove i conflitti tribali non lasciano spazio alla competizione politica.
È stato il salafismo a dare origine al jihadismo, è lo stesso salafismo a contenere la possibile soluzione del problema. Sarà la competizione interna tra correnti islamiste diverse a poter indebolire gli estremisti, più degli sforzi di agenti esterni al mondo islamico. Non sarà facile: coloro che all’interno dell’Islam sono disposti al cambiamento devono combattere per preservare la propria credibilità e spesso anche la propria incolumità. Yasir Qadhi, un importante salafita riformista che alcuni mesi fa è stato minacciato di morte dallo Stato Islamico, è uno dei molti riformatori che vedono la loro vita in pericolo per le loro idee.
Nella lotta al jihadismo gli attori esterni al mondo musulmano non hanno alternative al controterrorismo. Soltanto all’interno del mondo musulmano la guerra contro il jihadismo potrà essere vinta, ma occorrerà moltissimo tempo.
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