Il martirio di Tartus

08/06/2015

Tartus è la seconda città siriana, è un porto sulla costa mediterranea, in cui i Russi hanno in concessione una base navale, ed è abitata in prevalenza da Alawiti, così come Latakia più a nord (vedi mappa). Gli Alawiti sono una setta sciita stabilitasi lungo la costa siriana nel X secolo, al tempo della dinastia Hamdanide, che proveniva dalla regione chiamata al Jazira, a cavallo fra l’attuale Iraq, la Turchia e l’Iran (vedi mappa a lato). Altre comunità di Alawiti, anche noti come Nusairiti, vivono in Turchia e Iran. 

Gli Alawiti furono perseguitati e sterminati ripetutamente nella storia: prima dai Crociati, poi dai Mamelucchi sunniti, poi dall’Impero Ottomano. Dopo il 1920 i Francesi che governavano la regione fecero degli Alawiti i loro collaboratori più fedeli, non fidandosi della maggioranza sunnita. Dopo l’indipendenza persero il loro status, ma riuscirono a mantenere un ruolo di primo piano nell’esercito, grazie all’addestramento ricevuto dai Francesi. Dopo un periodo tumultuoso di colpi di stato e guerra civile, nel 1971 prese il potere il generale Hafez al Assad, alawita. Da allora gli Alawiti hanno costituito le truppe di elite dell’esercito siriano, fedelissime agli Assad.

Oggi la città di Tartus vive un dramma terribile: dall’inizio della ribellione contro Assad, quattro anni fa, sono morti 70.000 soldati alawiti della provincia di Tartus, 10 000 circa sono dispersi, 120.000 sono stati feriti. Sono cioè morti o feriti o dispersi quasi tutti gli uomini di Tartus in età di combattimento. Dato che durante i funerali scoppiavano spesso proteste da parte delle famiglie disperate, ora non sono permessi più di cinque funerali di soldati al giorno, e i cadaveri si accumulano all’obitorio nell’attesa.

Gli Alawiti di Tartus hanno perso la speranza, non credono più nella resistenza, così ora è Assad che fa rincorrere e uccidere i giovani ancora in vita che cercano di scappare in Libano o in Turchia per non dover andare a combattere e morire. Molti sperano di raggiugere l’Europa.

Tratto da un reportage di Stratfor, 7 giugno 2015.

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