Si dice che i popoli navigatori non tollerano la tirannide. Perché?
Le grandi società agricole possono venir ordinate e governate in modo tirannico tramite un numero relativamente modesto di funzionari e di uomini armati, perché il lavoro agricolo si svolge sempre sullo stesso suolo, è relativamente ripetitivo, si svolge in condizioni piuttosto prevedibili, produce frutti indipendentemente dallo stato di soddisfazione personale di chi zappa la terra.
Inoltre i raccolti debbono venir conservati a lungo in grandi magazzini appositamente attrezzati e ben difesi, che il singolo coltivatore non può permettersi, che perciò debbono essere nelle mani di qualche potente.
Le società agrarie feudali si basavano sulla schiavitù e sulla servitù della gleba, cioè sul legame obbligatorio di certi contadini a una certa terra per generazioni, sotto il governo di uno stesso signore, che controllava tutto con i suoi guerrieri ed i suoi funzionari e poteva impadronirsi di una larga fetta dei raccolti.
Gli uomini che si mettono in mare su di un vascello affrontano invece situazioni estremamente variabili, che richiedono capacità di valutazione, di decisione pronta, di azione personale volontaria. La capacità di comprensione e di collaborazione dei marinai fa sì che la nave torni al porto di partenza carica di preziose merci, anziché affondare su lidi lontani. Sarebbe impossibile imporre ai marinai la volontà di un capo che sta al sicuro nel suo castello senza conoscere la situazione. Perciò le società che vivono grazie al commercio via mare non possono governarsi con metodi feudali, con una organizzazione oppressiva; debbono affidarsi allo spirito di avventura e di responsabilità personale dei loro membri.
Proprio così inizia la storia specifica della civiltà europea: prima a Creta e poi nelle città costiere della Grecia, popolazioni che vivevano in territori montuosi con poche valli adatte all’agricoltura orientarono lo sguardo verso l’esterno, dedicandosi al commercio sui mari, che portò loro prosperità e conoscenza e creò una cultura comune nelle numerose colonie fondate sulle coste del Mediterraneo. Nelle colonie greche non soltanto fiorirono i commerci, ma nacque la filosofia, perché gli abitanti godevano di una libertà politica e intellettuale maggiore rispetto ai popoli sottoposti a forme di potere oppressivo. La filosofia greca osò prendere le distanze dalle certezze della tradizione e della religione e indagare la realtà servendosi della ragione.
Roma assorbì la cultura greca, la sviluppò dandole forma giuridica e istituzionale, la portò in vasti territori dal Nord Africa al Medio Oriente, dalla penisola iberica all’Inghilterra, creando la prima forma storica di cultura europea vera e propria, poi rafforzata e ulteriormente unificata dalla diffusione di una unica religione, quella cristiana, in tutto l’Impero.
Da allora ogni rinascita o maggiore evoluzione della cultura europea iniziò con nuove avventure sui mari: l’Umanesimo e il Rinascimento iniziarono nelle Città Marinare italiane e nelle Città Anseatiche del mare del nord. Il trionfo dell’Europa Rinascimentale si ebbe con le vittorie nel Mediterraneo contro i Turchi, portatori della civiltà islamica, e con i grandi viaggi di esplorazione oceanica, che portarono gli Europei in contatto con i popoli di tutti i continenti, e a scoprire un continente ancora sconosciuto alla storia: l’America.
La scoperta dell’America cambiò la geografia del globo, la posizione dell’Europa nel mondo e quindi la storia e la cultura dei popoli d’Europa. A partire dal XVI secolo il centro dei commerci mondiali si spostò gradualmente sull’Atlantico, e le coste europee privilegiate per questi commerci furono quelle che si affacciavano sull’Atlantico: Portogallo, Spagna, Francia, Inghilterra e Olanda conquistarono colonie nelle Americhe. I commerci sul Mediterraneo e sul Mare del Nord decaddero, decaddero i principati italiani.
Grandissime risorse dovevano essere raccolte e investite per costruire e attrezzare flotte oceaniche, dotate di grandi equipaggi, cariche non soltanto di mercanzie, ma anche di armi e di soldati, per attraversare gli oceani, garantire un approdo e un soggiorno sicuro lungo le coste degli altri continenti e un ritorno sicuro in patria, con grandi carichi di beni preziosi. Si trattava di uno sforzo che non poteva essere sostenuto da singole città o da piccoli stati, tanto meno da mercanti privati. Le necessità del commercio sugli oceani spinsero all’aggregazione dei piccoli stati in stati più grandi: nacquero i primi stati nazionali, che svilupparono imperi coloniali europei in ogni continente.
Particolarmente avvantaggiata in Europa fu la Francia, grazie alla geografia favorevole: si affaccia sul Mediterraneo e sull’Oceano Atlantico, dispone di una grande e ricca pianura, e ha confini sicuri su tre lati grazie alle barriere naturali che la separano da altri popoli – l’oceano a nord, il mare a sud-est, i Pirenei a sud. Per questo fu il primo paese ad assumere forma unitaria già a partire dal VI secolo, subito dopo il crollo dell’impero romano. Per lungo tempo contese l’egemonia sui mari all’Inghilterra, che ebbe infine la meglio.
I paesi mediterranei, tagliati fuori dall’accesso ai grandi commerci oceanici, rimasero ai margini delle grandi evoluzioni economiche, politiche, sociali della civiltà europea, finché con l’apertura del canale di Suez (1869) il Mediterraneo fu riaperto al grande commercio, rivitalizzando l’economia e la politica dei paesi lungo le coste. Con la protezione della flotta inglese, che era allora il garante della sicurezza delle rotte marittime globali e cercava l’alleanza delle popolazioni costiere, anche l’Italia e la Grecia divennero stati nazionali, dotati di una flotta moderna.
Fu l’apertura delle rotte oceaniche da parte di Portoghesi e Spagnoli nel XV secolo a dar l’avvio all’espansione della civiltà europea nel mondo per circa 500 anni, con tutti i suoi aspetti positivi e anche negativi. Il colonialismo e la competizione fra gli stati europei sviluppò anche forme estreme ed assassine di razzismo e di nazionalismo, che portarono a due terribili guerre mondiali nel XX secolo. La competizione per la spartizione della crescente ricchezza portò anche a guerre sociali e all’esperimento del comunismo di stato.
Grazie alla grande competizione, la civiltà europea promosse anche uno sviluppo tecnologico, economico, scientifico e culturale senza precedenti nella storia del mondo, che permette oggi a oltre 7 miliardi di persone di vivere molto meglio e molto più a lungo dei loro antenati nei secoli in cui il globo aveva meno di un miliardo di abitanti. Dal secondo dopoguerra il testimone della civiltà europea è passato nelle mani dell’America, per cui oggi si parla di civiltà occidentale.
Sono almeno tre i principi della civiltà occidentale ormai riconosciuti come validi anche dalla grande maggioranza degli altri popoli in altri continenti:
- lo scambio di beni, servizi, idee e persone è il presupposto e il motore dello sviluppo umano;
- senza alcune libertà personali fondamentali il meccanismo dello scambio si inceppa, quindi si ferma lo sviluppo dell’economia e della conoscenza;
- le libertà fondamentali debbono essere codificate e riconosciute per legge, ed i governi degli stati debbono rispettarle.
Così la mentalità dei primi popoli marinai del Mediterraneo, che a gruppetti si imbarcarono in piena libertà, accettando il rischio e collaborando in modo personale, per cercare senza paura ricchezze e conoscenze in terre lontane, ha segnato tutta la storia della civiltà occidentale e sta diventando la linea guida della civiltà globale. Questo è stato reso non soltanto possibile ma altamente probabile dalla posizione dell’Europa nel globo e dalla sua conformazione fisica.
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