In vista dell’imminente crollo di Assad e dello stato siriano, diventa evidente la corsa a occupare la costa del Mediterraneo non soltanto da parte delle potenze regionali, ma anche di quelle europee.
Come sempre accade nella storia, anche i conflitti in Iraq e in Siria hanno base economica: sono una lotta per il controllo del petrolio e del gas di cui la regione è ricchissima. Alla lotta partecipano tutti i gruppi etnico-religiosi, costituiti su base tribale, dell’Iraq e della Siria. Partecipano anche, in modo più o meno evidente, l’Arabia Saudita e la Turchia. E partecipa il Libano, paese che storicamente, geograficamente ed etnicamente è parte della Siria, anche se nello scorso secolo è diventato uno stato autonomo a se stante. Partecipano gli USA come garanti degli equilibri globali e delle rotte marittime globali. Ora si sono aggiunti apertamente i Russi.
Il petrolio e il gas a sud di Bagdad sono saldamente in mano al governo di Bagdad, a maggioranza sciita, alleato dell’Iran. Oggi il resto dei giacimenti e della raffinerie sono sotto controllo dei Curdi o sotto controllo dell’ISIS. Curdi e ISIS sono nemici acerrimi, ma hanno una cosa in comune: non hanno uno sbocco al mare, né vogliono sottomettersi all’Iran e al governo di Bagdad per poter utilizzare lo sbocco sul Golfo (Golfo Persico o Arabico? Anche il nome è oggetto di disputa) per esportare il petrolio e il gas di cui controllano i giacimenti. Per ora non possono che dipendere dalla Turchia, che dall’inizio del conflitto permette a entrambi di vendere più o meno clandestinamente il loro petrolio sul mercato spot, cioè al migliore offerente e all’ultimo momento, senza contratti di lunga durata (il che è concausa indiretta del crollo dei prezzi dell’energia sul mercato internazionale). Questo dà alla Turchia un grande potere sia sui Curdi sia sull’ISIS: senza la collaborazione turca, potrebbero vendere le loro risorse soltanto all’interno delle aree che controllano, oltre a inviare qualche centinaio di carichi di contrabbando via terra in Giordania (l’ISIS), o in Iran (i Curdi). Ma si tratta di briciole. La soluzione sarebbe, per l’ISIS e anche per i Curdi, poter avere uno sbocco sulla costa del Mediterraneo, attraverso il territorio siriano. Per questo l’ISIS ha lanciato la sua barbara guerra verso occidente, lungo le strade della Siria. Ma lo sbocco al Mediterraneo lo vuole anche l’Iran, che ha militari e alleati in Libano (gli Hezbollah) e in Siria, dove sono presenti Sciiti alawiti. Le ambizioni egemoniche dell’Iran degli Ayatollah su tutta la Mesopotamia, fino al Libano e alla Siria, sono chiare da decenni.
Ovviamente questo non piace alla Turchia, paese sunnita, che non vuole avere ai confini alleati del temibile Iran – per questo vuole sbarazzarsi di Assad – né vuole veder nascere ai confini uno stato autonomo curdo, che potrebbe alimentare insurrezioni anche fra la grandissima minoranza curda che vive in Turchia.
Qui entra in gioco la Russia, che ha come unico sbocco commerciale su mari non ghiacciati la Crimea, sul Mar Nero. Ma la porta del Mar Nero, lo stretto dei Dardanelli, è controllata dalla Turchia. Un capriccio turco, o di qualche potenza che si imponesse ai Turchi, potrebbe togliere ai Russi la possibilità di commercio marittimo! La Russia ha bisogno di esercitare sui Dardanelli un controllo da vicino, cioè ha bisogno di basi militari sul Mediterraneo, in cui stanziare mezzi e uomini sempre in grado di forzare da ovest un eventuale blocco dei Dardanelli, mentre altre forze russe intervengono da nord-est. Da decenni la base russa nel Mediterraneo è Tartus, in Siria. I Russi non possono rischiare di perderla − è una questione di fondamentale importanza strategica.
Inglesi e Francesi non possono certo mettersi fuori gioco: per 200 anni si sono contesi o spartiti l’egemonia sul Levante (o Vicino Oriente, che gli Americani hanno ribattezzato Medio Oriente, vedendolo da un punto di vista più distante). I loro interessi nella regione sono ancora importanti. Perciò fanno ora parte della coalizione che usa aerei e droni sulla Siria e sull’Iraq, insieme agli Stati Uniti, all’Arabia Saudita, alla Turchia.
Ora la scacchiera è pronta per le mosse degli attori ‘importanti’: tutti si sono messi apertamente in posizione e hanno dichiarato le loro appartenenze. Quanto sangue verrà ancora versato? Il sangue versato in nome di Allah e del suo profeta e quello versato in difesa di interessi nazionali o della libertà delle rotte commerciali ha sempre lo stesso colore: il colore – e l’odore nauseante − della morte violenta, della vita sprecata e insozzata – spesso per un pugno di dollari.
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