Stiamo per vedere la fine dell’ideale di un’Europa unita? Che cosa significa quell’ideale per la storia umana, perché stiamo fallendo nella sua realizzazione? Nel breve saggio Why Europe's great experiment is failing, pubblicato da Stratfor, Ian Morris riassume con grande chiarezza l’argomento.
Nei 5000 anni intercorsi dall’apparizione dei primi stati in Mesopotamia, dice Morris, i governi hanno sempre forgiato l’unità politica con la violenza, e hanno poi usato la politica – spesso associata a ulteriore violenza − per creare unità economica e culturale nei territori governati. Dal 3000 a.C. al 1945 non abbiamo esempi di stati formati senza violenza. Poi in Europa occidentale si è tentato un esperimento unico nella storia delle istituzioni politiche: raggiungere una qualche forma di unità politica attraverso lunghi – e noiosi – negoziati su di una serie di aspetti della vita associata, talora ridicolmente secondari – come la regolamentazione del calibro delle mele − a partire dall’economia, ma senza tralasciare i diritti civili. Così per la prima volta nella storia 500 milioni di persone sono entrate a far parte di una società allargata senza alcuna violenza. Gli stessi Europei che fra il 1914 e il 1945 si affrontarono in due guerre che fecero 60 milioni di morti, costruirono il posto più pacifico e più sicuro del globo nei decenni successivi. Nel 2003 un’indagine statistica rivelò che in Francia e in Germania soltanto il 12 % dei cittadini pensavano che la guerra potesse essere giustificata in taluni casi, mentre in America erano il 55%. Al confine con l’Unione Europea, l’atteggiamento della Russia, nazionalista e aggressivo, offriva un contrasto evidente e imbarazzante. Nel 2012 all’Unione Europea venne attribuito il premio Nobel per la pace, e mai premio fu più giustificato.
Ora l’Unione Europea rischia di fallire per tre motivi. Il primo è il persistere di sentimenti ‘tribali’, diced Morris. A Davos il primo ministro inglese David Cameron ha dichiarato che gli Inglesi non vogliono l’integrazione politica con il resto d’Europa perché sono ‘un paese orgoglioso e indipendente, con tradizioni democratiche orgogliose e indipendenti’’.
Il secondo motivo, sempre sottaciuto ma fondamentale, è il persistere di interessi geostrategici diversi e non sempre conciliabili fra i paesi che si affacciano al Mediterraneo e quelli che si estendono nella grande pianura del Nordeuropa (vedasi i video a fianco). L’Inghilterra poi, in quanto stato-isola, ha sempre avuto come obbiettivo strategico primario l’impedire che un unico stato dominasse l’Europa continentale, diventando tanto forte da dominare anche l’Inghilterra. Fin dal 1600 le guerre combattute dall’Inghilterra, con frequente cambiamento di alleanze, hanno avuto proprio questo obiettivo. “Non abbiamo alleati per l’eternità, né amici per l’eternità” − dichiarò lord Palmerston nel 1848 − “soltanto il nostro interesse è eterno”. Questo rimane vero per l’Inghilterra, come per ogni popolazione di una determinata regione geografica.
D’importanza predominante è però il terzo motivo: il sistema di conciliazione di tutti gli interessi europei attraverso i negoziati, senza la possibilità di imporre sanzioni con la forza, negli ultimi anni non sta funzionando, non riesce a risolvere i problemi. Le istituzioni europee non riescono a conciliare gli interessi dei diversi paesi che hanno adottato la moneta unica, non riescono a far uscire l’economia dalla stagnazione e dalla disoccupazione, non riescono ad affrontare in modo efficace la questione dei migranti e dei rifugiati. Il sistema sembrava funzionare finché tutto andava bene, ma di fronte ai grandi problemi rimane semi-paralizzato. Né ha la forza di far rispettare le decisioni prese, per esempio la ripartizione dei rifugiati fra i vari paesi d’Europa.
Tuttavia per ora l’Unione ha retto: nessun paese è uscito dall’Unione, nessun paese è uscito dall’Eurozona, in nessun paese sono scoppiate ribellioni o violenze di ampia portata. Nessuno vuole davvero disfare l’Unione, nessuno vuole davvero il salto nel vuoto.
Ci sono due possibilità per il futuro a breve e medio termine:
- che si formi una coalizione fra gli stati europei più forti per dare poteri decisionali e coercitivi forti alle istituzioni comuni (per sapere quali sono i poteri delle istituzioni europee oggi si veda il dossier Istituzioni europee),
- oppure – ed è l’ipotesi più probabile, che già si è scelta con l’autorizzazione a sospendere temporaneamente il trattato di Schengen − che si rinunci, almeno temporaneamente, all’obbiettivo dell’unificazione politica, lasciando alle istituzioni Europee poco più delle competenze che avevano prima del trattato di Maastricht.
Per noi anziani, cresciuti nella sicurezza e nell’orgoglio di essere Europei, il fallimento dell’Unione è un boccone molto amaro. Ma è l’ovvia conseguenza del rivolgimento geostrategico radicale avvenuto in Europa con la fine della Guerra Fredda. Durante la Guerra Fredda l’Europa, la Germania in particolar modo, erano divise in due blocchi contrapposti che non avevano quasi contatti fra di loro, perciò i paesi a est e a ovest della divisione avevano interessi economici e militari comuni che superavano di gran lunga le differenze fra nord e sud. Con la fine della Guerra Fredda, la riunificazione della Germania e la riapertura della grande pianura dalla Francia alla Russia, la dialettica fra gli interessi dei diversi blocchi geografici d’Europa è riapparsa e si è imposta con la forza della realtà. Le logiche geopolitiche all’interno del continente sono di nuovo quelle che hanno agito fino al 1945. Non possiamo non tenerne conto, dobbiamo trovare altri modi per garantire la pace e l’equilibrio dell’Europa all’interno e all’esterno.
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