Il governo Regionale Curdo dell’Iraq (KRG) da giugno 2015 esporta petrolio in proprio, senza passare attraverso il governo centrale di Baghdad, che è costretto ad accettare questa soluzione di fatto – anche se non l’accetta in via di diritto − perché non riesce a garantire ai Curdi la sicurezza delle strade e degli oleodotti assaliti dall’ISIS.
Nel grafico a fianco si vede che la quota di petrolio immessa dai Curdi nelle condutture dell’azienda di stato irachena (SOMO) è ridotta a zero dallo scorso settembre. Il petrolio del KRG viene ora incanalato tutto nell’oleodotto che attraversa la Turchia e raggiunge il terminale di Ceyhan sul Mediterraneo.
Nel secondo grafico si vede quali sono i maggiori clienti del petrolio curdo al porto di Ceyhan. Noi Italiani siamo i primi acquirenti diretti. Il 35% del totale viene trasbordato da una nave all’altra e non si sa quale sia la sua destinazione finale.
Il bassissimo costo del petrolio sul mercato internazionale sta mettendo a dura prova il Governo Regionale Curdo, che con i ricavi del petrolio non soltanto paga lo stipendio ai dipendenti pubblici, che sono all’incirca uno per famiglia, ma deve anche provvedere armi e vettovaglie ai combattenti peshmerga che difendono il Kurdistan e il suo petrolio dall’ISIS. I peshmerga curdi sono i soli combattenti contro l’ISIS sul terreno.
Recentemente il KRG ha iniziato a vendere all’estero anche il petrolio dei pozzi di Kirkuk, che sono fuori dei confini della Regione Autonoma Curda, ma sono stati strappati dai peshmerga curdi all’ISIS e sono ancora isolati dalle vie di comunicazione con Baghdad. Il governo di Baghdad ha elevato proteste, anche a livello internazionale, ma non può far altro che accettare la situazione, visto che non riesce a scacciare l’ISIS dalle strade che uniscono Kirkuk a Baghdad.
Il KRG ha bisogno di oltre un miliardo di dollari al mese per sostenere la popolazione e i peshmerga. Esporta una media di poco meno di 600000 barili il giorno. Ai prezzi correnti, questo significa un ricavo che è la metà della cifra di cui il KRG ha bisogno – senza contare che dovrebbe anche pagare il petrolio alle compagnie petrolifere che gestiscono i giacimenti e gli impianti, ma da otto mesi non riesce più a pagarle, perciò le compagnie stanno rallentando l’estrazione.
I bassi prezzi del petrolio e la necessità di passare attraverso la Turchia per esportarlo, accettando le sue condizioni, stanno soffocando finanziariamente sia l’ISIS (che per finanziarsi ora cerca di conquistare i terminali di esportazione del petrolio della Libia), sia i Curdi. Il KRG non paga gli stipendi ai dipendenti pubblici da quattro mesi, e fra la popolazione scoppiano frequenti proteste. C’è il rischio che la resistenza curda contro l’ISIS venga meno.
Nel frattempo anche il governo centrale iracheno, le cui entrare dipendono largamente dal petrolio, ha difficoltà a pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici e all’esercito. La guerra del governo di Baghdad contro l’ISIS continua soltanto grazie all’intervento iraniano.
I bassi prezzi del petrolio stanno soffocando finanziariamente tutte le parti in causa nelle guerre civili in Siria e in Iraq, che ormai proseguono soltanto grazie agli aiuti e ai finanziamenti che provengono dall’estero, in segretezza. Sta diventando sempre più evidente che le chiavi delle guerre civili in Mesopotamia sono nelle mani dell’Arabia Saudita, del Qatar, dell’Iran e della Turchia. La Russia difende i propri interessi lungo la costa siriana, ma quasi non interviene nell’interno. Lascia che le popolazioni si scannino al proprio interno per il controllo dei giacimenti di petrolio, così come fa tutta la comunità internazionale.
Dietro il fumo della guerra civile in Siria si nasconde agli occhi della comunità internazionale anche la durissima repressione da parte dei Turchi della propria popolazione curda. Da mesi i Turchi stano bombardando, assediando e affamando i propri concittadini curdi nell’area attorno a Diyarbakir, nel silenzio dei media (foto a lato).
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