Non basterà sconfiggere l’ISIS, non basterà ricostituire uno stato in Siria o in Libia. Il mondo islamico è percorso da un’ideologia politica − da un’illusione politica − che non si cancella in combattimento. In Afghanistan, in Somalia, in Iraq, in Pakistan le milizie jihadiste si riproducono ormai da decenni. Dopo ogni sconfitta si riformano, dopo ogni accordo riprendono la guerra civile, perché nelle popolazioni è viva la convinzione che l’islam possa essere la risposta ai loro problemi, alla loro richiesta di giustizia e di sviluppo. Finché è viva questa convinzione, le élite tribali che intendono conquistare il potere troveranno sempre abbondanza di giovani seguaci pronti a uccidere e devastare in nome dell’islam, o di quello che credono essere l’islam.
L’islamismo jihadista è un’ideologia insurrezionale con un ruolo globale, paragonabile a quello che ebbe un tempo il comunismo. Ovunque ci siano giovani islamici scontenti della loro situazione di vita, alcuni diventeranno jihadisti pronti ad uccidere, finché non sarà evidente il fallimento dell’ideologia islamista, che fa coincidere religione e politica e crede che lo stato giusto debba essere retto dalla sharia, dalla legge islamica.
Il primo successo dell’islamismo è in Arabia Saudita: lì la sharia è legge dello stato sin dall’inizio del regno dei Saud. Il regno si mantiene forte e ricco dal 1932 – certamente non grazie alla sharia, ma soltanto grazie al petrolio. Noi lo sappiamo, ma moltissime persone nei paesi Arabi guardano ai Sauditi come a un modello istituzionale e politico. I Sauditi elargiscono aiuti a tutti i poveri del mondo arabo o islamico, amministrano i luoghi sacri, sono riveriti in Occidente e in Oriente, hanno costruito città modernissime e usano le tecnologie più avanzate. È comprensibile che milioni di Arabi poveri e semianalfabeti ammirino i Sauditi e il loro modo di governare in nome della sharia.
Gli Ayatollah in Iran sono al potere dal 1979, applicando una dura versione di sharia sciita. Questo Iran islamista, governato dalla sharia, ha umiliato l’Occidente, gli ha tenuto testa per 35 anni. Ora è l’Occidente a piegarsi, a cercare il dialogo e riconoscere la legittimità del governo teocratico dell’Iran. Ecco un altro evidente successo dell’islamismo politico agli occhi degli islamici.
È illogico aspettarsi che le masse islamiche respingano l’islamismo, quando gli unici stati ‘forti‘ del Medio Oriente paiono proprio i due stati che da decenni applicano la sharia. Né si può negare il successo economico e di immagine − per lo meno agli occhi degli islamici − della Turchia di Erdogan, che si è allontanata dal laicismo e ha introdotto elementi di sharia nella legislazione, ha lanciato una flottiglia contro Israele, ha elevato il livello di vita della popolazione, è tecnologicamente avanzata e vince gare per costruire infrastrutture in tutta l’Africa e l’Asia.
Dall’altra parte i regimi laici di Assad in Siria e Saddam in Iraq non hanno saputo portare sufficiente sviluppo economico e sociale e di fronte alla proteste hanno scatenato l’esercito contro la popolazione con tale violenza da far perdere legittimità sia al governo sia all’esercito. Al Sisi corre lo stesso pericolo in Egitto.
Finché i governi che da decenni applicano la sharia non saranno rovesciati dai loro popoli esasperati, l’ideale politico islamista affascinerà gli scontenti e si formeranno gruppi jihadisti e terroristi in tutto il mondo islamico. Proprio come gruppi armati comunisti hanno continuato a formarsi in tutto il mondo finché il comunismo non è stato rifiutato e rovesciato dalle popolazioni dell’Unione Sovietica, dopo molti decenni di apparente successo.
Prepariamoci a decenni di guerre civili e di insurrezioni islamiste ai nostri confini, con frange estese anche nella nostra società, e ripetute ondate di migranti e di rifugiati. La cortina di ferro impedì alle popolazioni dell’Unione Sovietica di riversarsi in Occidente, ma non c’è una cortina di ferro che ci divida dai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, perciò ogni evento negativo su quelle coste si ripercuote velocemente su di noi.
Contro l’islamismo, come contro il comunismo, il nostro argomento vincente è il rispetto dei diritti umani, la garanzia di un buon livello di libertà personale, ma non basta: occorre anche successo economico per rendere credibile e appetibile un modello istituzionale e politico. La nostra crisi economica e finanziaria non ci aiuterà a integrare gli islamici immigrati. Dobbiamo mettere a punto una strategia e un programma di lungo periodo per contrastare l’islamismo politico, produttore di jihadismo e terrorismo, sia a casa nostra sia all’estero. Dovrebbe essere un programma comune di tutta Europa, non soltanto dei paesi in prima linea. Ma noi che siamo in prima linea, così come la Grecia, non possiamo permetterci il lusso di aspettare che l’Europa raggiunga eventualmente il consenso con anni di ritardo.
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