L’economia egiziana è al collasso, c’è il rischio che le difficoltà originino rivolte e instabilità politica. L’Egitto ha prezzi politici per l’energia e per i prodotti alimentari di base, sovvenzionati da fondi pubblici. Ora però il crollo del turismo e la riduzione delle rimesse dei migranti hanno ridotto al lumicino le riserve di valuta dello stato, che è costretto a tagliare le importazioni, anche di prodotti alimentari, perché non sa come pagarle. La popolazione cerca dollari al mercato nero e cerca di accumulare scorte di cibo, per timore di rimaner senza, la moneta locale si svaluta, ma il governo non osa prendere la decisione di accettare il cambio reale; mantiene il tasso ufficiale di cambio artificialmente alto, però quando deve fornire dollari per pagare un’importazione non ha i dollari, la merce non viene pagata e il cargo viene respinto.
Le promesse di aiuto non mancano: il Consiglio di Cooperazione del Golfo ha promesso decine di miliardi nei prossimi cinque anni, la Banca mondiale ne ha promessi 3, la African Development Bank ha dato 500 milioni di dollari a dicembre, e la Cina e la Corea del Sud hanno promesso investimenti rispettivamente di 15 e di 3 miliardi: ma c’è poco di certo, perché tutti gli aiuti sono condizionati: quelli dei paesi del Golfo ad esempio dipendono dal fatto che l’Egitto si impegni a fondo nella guerra in Yemen. Forse l’unica possibilità di ricevere finanziamenti senza precondizioni è ricorrere al Fondo Monetario Internazionale, che ha promesso aiuti urgenti e senza condizioni per i produttori di petrolio. L’Egitto è un piccolo produttore di petrolio, usato tutto sul mercato interno. Ma la produzione e la distribuzione del petrolio alla popolazione a prezzi estremamente bassi, sovvenzionati dallo stato, è uno dei cardini del welfare della popolazione egiziana.
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