Lo spazio è sempre più affollato. Negli ultimi anni sono state lanciate o proposte sempre più missioni spaziali per migliorare la conoscenza dell’astronomia planetaria. Questo genere di missioni non è una novità, ma fino a poco tempo fa riguardava solo le potenze spaziali tradizionali: Stati Uniti, Europa e Russia. Ora sono entrati in scena una serie di nuovi attori: negli ultimi tre anni India, Cina e Giappone hanno annunciato o tentato missioni su Marte. L’esplorazione e l’uso dello spazio saranno probabilmente una delle questioni cruciali del XXI secolo, di cui le missioni scientifiche sono soltanto un aspetto. L’accesso allo spazio ha anche scopi militari ed economici, perciò i singoli stati vogliono essere indipendenti nel lancio di una missione. Cina, India, Giappone, Iran, Corea del Nord e Corea del Sud stanno attivamente lavorando per migliorare le loro competenze nei lanci spaziali e, dato che presto altre nazioni faranno altrettanto, la concorrenza aumenterà ancora.
Spesso si paragonano i vari progetti nazionali di questo inizio di XXI secolo con la corsa allo spazio degli anni della Guerra fredda, ma il paragone non regge. All’epoca del bipolarismo la ricerca spaziale costituiva un elemento strategico per mantenere un vantaggio militare. Tra gli anni ’50 e ’60 furono realizzate molte missioni per raccogliere dati scientifici, ma lo scopo dei programmi spaziali era di natura nazionalistica e strategica. I vantaggi economici che ne potevano conseguire erano un eventuale valore aggiunto, non la motivazione principale. In una prima fase gli Stati Uniti aiutarono l’Europa occidentale a competere con l’URSS anche in questo campo, ma nel 1956 il National Security Action Memorandum stabilì che non si dovevano aiutare nazioni straniere a sviluppare satelliti. L’Europa capì di dover sviluppare autonomamente le capacità necessarie ai lanci nello spazio. Nel 1973 i paesi dell’Europa occidentale avviarono il progetto del razzo Ariane, due anni dopo nacque l’Agenzia Spaziale Europea, che sta ora perseguendo la realizzazione di un proprio sistema di posizionamento e navigazione satellitare, chiamato Galileo. Una cosa simile è accaduta dall’altra parte della cortina di ferro nel 1960, quando i rapporti con fra Cina e URSS presero a deteriorarsi e la Cina avviò a un proprio programma spaziale.
Fu la fine della Guerra Fredda ad accelerare il passaggio da missioni spaziali con fini militari a commerciali. In seguito al crollo dell’URSS la Russia e l’Ucraina ereditarono il know-how sovietico in ambito spaziale e cercarono di sfruttarlo a fini economici. Allo stesso tempo gli Stati Uniti cominciarono a deregolamentare l’industria dei lanci spaziali, aprendola ai privati. Emersero allora aziende che oggi sono parte integrante della strategia spaziale americana, pur rimanendo private. Il costo dell’accesso allo spazio è crollato, così come molte restrizioni. Grazie a internet sono state sviluppate molte applicazioni commerciali di tecnologie spaziali, come il GPS e la comunicazione satellitare. Oggi l’industria spaziale è florida e altamente competitiva e attrae sia le potenze tecnologiche e industriali più consolidate, sia quelle emergenti.
I programmi spaziali di Cina, URSS e USA erano finanziati da enormi budget per la difesa, mentre ora l’accesso allo spazio ha costi ridotti, grazie ai quali si possono tentare anche missioni che non hanno un tornaconto economico immediato. Molte delle nuove potenze spaziali sono asiatiche: Giappone e Corea del Sud sono tra i paesi tecnologicamente più avanzati al mondo e sviluppano il know-how necessario a costruire sistemi spaziali utilizzando l’esperienza accumulata in ambiti industriali come la cantieristica. Sono perciò molto competitivi anche dal punto di vista dei costi. Ma non hanno fini esclusivamente commerciali: sanno di non poter dipendere per sempre dalla buona volontà degli Stati Uniti, dunque stanno sviluppando anche applicazioni militari. La Corea del Sud è partita più tardi di Cina e Giappone: Naro-1, il primo sistema di lancio sviluppato interamente in Corea, risale al 2013, ma già il Korea Aerospace Research Institute prevede un lancio lunare entro il 2020. Il programma spaziale indiano, invece, è a un bivio: New Delhi ha le capacità per il lancio di missioni nello spazio a basso costo, ma capacità di carico ancora limitate.
I programmi spaziali della Corea del Nord e dell’Iran sono diversi da quelli degli altri paesi perché hanno motivazioni politico-militari, non economiche. Per Teheran e Pyongyang i programmi spaziali sono un deterrente rivolto contro i rivali regionali. Tra i due, il più avanzato è il programma nordcoreano, volto a lanciare nello spazio testate nucleari. Il programma spaziale iraniano, controllato dalle Guardie della Rivoluzione, è decisamente meno avanzato, ma è rimasto escluso dall’accordo sul nucleare firmato con l’Occidente, il che significa che Teheran può fare test su missili balistici intercontinentali senza incorrere in sanzioni.
Di fronte alla crescente concorrenza, gli Stati Uniti stanno ridefinendo la componente spaziale della loro politica di difesa. L’ipotesi di sviluppare armi anti-satellite, o raggi in grado di danneggiare componenti cruciali dei satelliti, implicherebbe una nuova militarizzazione dello spazio, proprio mentre le aziende private stanno abbattendo i costi di lancio, tanto che ora il settore fa gola a molte aziende, come l’olandese MarsOne, che spera di essere la prima a mandare persone su Marte. Gli Stati Uniti possono permettere ad altri paesi di costruire satelliti, ma vogliono assolutamente mantenere il predominio nell’accesso allo spazio, così come ai mari e ai cieli, anche se lo fanno tramite aziende private come la SpaceX.
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