Si pubblicano nuovi saggi su come la tecnologia e la globalizzazione possano modificare non soltanto l’economia, ma anche le istituzioni ed i poteri degli stati. Sono tutte ipotesi su cui riflettere, ben sapendo che le ipotesi degli intellettuali identificano tendenze e linee di forza, ma che la realtà è sempre molto più complessa di quanto possa essere preso in considerazione anche nelle migliori analisi. Le ipotesi degli intellettuali non sono previsioni certe di ciò che avverrà, ma indicazioni di tendenze con cui dobbiamo fare i conti.
In ‘Connectography: mapping the future of global civilization’ Parag Khanna ci invita a vedere e capire il mondo non più come un insieme di stati delimitati dai loro confini, ma come una serie di punti collegati fra di loro a formare una rete, o meglio un complesso di reti, che attraversano e superano i confini, coprendo il globo. Secondo Khanna chi per primo crea un nodo di attività in una zona del globo si inserisce in una rete di informazioni, conoscenza e ricchezza che travalica i confini degli stati ed è regolato da leggi di mercato indipendenti dalla politica. Nell’immagine accanto si vedono le reti logistiche e amministrative già create (per ideazione, materie prime, componenti, prodotti finiti) per i cellulari della Apple, per i veicoli Toyota, per i prodotti farmaceutici, per i PC e per i jeans Levi.
Manuel Castells ha affrontato e sviscerato a fondo temi simili ne L’età dell'informazione (La società in rete e lo stato). Philip Bobbit definisce ‘stato-mercato’ (vedasi: Lo stato che verrà, secondo Bobbitt) la forma probabile degli stati del prossimo futuro, perché l’importanza e la potenza non soltanto economica, ma anche tecnologica e culturale delle grandi aziende globali (come Google ad esempio) le porrà in condizione di parità, o addirittura di superiorità, rispetto agli stati. Negli stati-nazione la politica estera ha sempre protetto e favorito le grandi aziende nazionali perché potessero competere con successo all’estero ed essere veicolo della politica nazionale, ma nello stato-mercato del futuro cambierebbero i rapporti di forza: non sarebbe più lo stato a utilizzare le grandi aziende per la propria politica, ma sarebbero le aziende globalizzate a trascinare gli stati nel perseguire una logica di mercato.
Ora la sudafricana ETM analytics, azienda di consulenza globale per investitori globali, ipotizza che si avvii al termine il periodo storico del controllo statale sulle monete e sulla politica monetaria. I motivi di tale ipotesi sono:
A) - L’attuale insuccesso delle politiche monetarie super-espansive della Fed, della BCE, della Bank of China e della Bank of Japan nel rovesciare il ciclo economico. L’economia ristagna ovunque, nonostante i tassi di interesse siano al minimo storico, la liquidità immessa sul mercato sia enorme. La liquidità non viene utilizzata in modo produttivo dal sistema economico, ma viene piuttosto utilizzata dagli stati per politiche di sostegno, aumentando enormemente i loro debiti. L’aumento dei debiti degli stati, in assenza di crescita dell’economia reale, porta a un progressivo indebolimento del potere reale degli stati. Il grafico a fianco mostra come la creazione di enormi quantità di moneta da parte della FED dal 2008 in poi abbia alimentato quasi soltanto il debito pubblico degli USA, mettendo a repentaglio la fiducia degli investitori nel dollaro. Ma altrettanto sta succedendo in Cina, dove dalla metà del 2014 si assiste a una fuga costante di capitali, cioè a disinvestimenti massicci, nonostante la politica monetaria espansiva della Bank of China.
B) - La possibilità concreta di creare e usare criptomonete da parte di reti di utilizzatori, cioè monete virtuali come il bitcoin, grazie alla tecnologia blockchain, che non ha più necessità di un centro di organizzazione e di controllo. Gli operatori economici avrebbero la possibilità di effettuare pagamenti e incassi con monete virtuali, senza ricorrere alle monete coniate o garantite dagli stati, togliendo perciò agli stati lo strumento principe di controllo dell’economia. Si tornerebbe alla situazione del Rinascimento, quando l’uso delle lettere di credito e di cambio invece delle monete di metallo diede grande libertà di impresa ai mercanti e grande potere ai banchieri privati, portò alla creazione di nuovi stati e più in generale alla trasformazione delle istituzioni politiche degli stati. Il passaggio dall’uso di monete controllate dalle banche centrali, a loro volta controllate sostanzialmente dalla politica, potrebbe essere accelerato dalla perdita di fiducia nella capacità delle Banche Centrali di influenzare l’economia reale così come avvenuto negli scorsi 200 anni.
Angus Geaton, economista di Princeton vincitore di un Nobel, sostiene in The Great Escape che «milioni di persone sono entrate nel mercato globale grazie alla connettività, nonostante la loro cattiva posizione geografica e cattive istituzioni. Non è più un destino ineluttabile che i paesi tropicali vivano di agricoltura a bassa capacità produttiva, né che paesi senza sbocco al mare siano svantaggiati. Singapore e Malesia sono vivaci economie moderne in zona equatoriale; il Ruanda, la Botswana il Kazakhistan e la Mongolia sono pasi dell’interno in rapido sviluppo economico, per la prima volta nella storia. La posizione geografica non può essere cambiata, ma la connettività può offrire un destino alternativo.» Questo è vero oggi, ma era vero anche ieri: le infrastrutture logistiche sono sempre state essenziali per promuovere non soltanto il senso di appartenenza a una comunità allargata, ma anche lo sviluppo economico. In paesi come il Brasile, l’Indonesia, la Nigeria e l’India (che complessivamente hanno più di due miliardi di abitanti) i problemi politici ed economici hanno come base insufficienti infrastrutture di trasporto e di comunicazione, che rendono inefficace l’azione sia delle istituzioni sia delle aziende.
Le diaspore degli emigrati oggi possono rimanere collegate in rete e costituire una comunità relazionale capace di superare i confini geografici e politici: è proprio in rete che si diffonde e trova reclute l’islamismo jihadista. In rete oggi esiste una comunità ebraica globale, che unisce tutte le diaspore e Israele. Non sono che due esempi ovvi, fra i molti possibili. Assistiamo già alla formazione di una realtà in cui le persone si sentono soprattutto legate da un lato alla città in cui vivono, dall’altro alla comunità sovranazionale virtuale che costruiscono o che scelgono in rete, superando la dimensione psicologica dell’appartenenza allo stato. Ma la sicurezza sociale e militare, la scuola, la giustizia, il fisco sono organizzati e gestiti a livello nazionale, perciò c’è il rischio che si crei un sempre più ampio conflitto fra le nuove realtà e le istituzioni esistenti. Ancora più alto è il rischio che le istituzioni esistenti perdano di efficacia: ce ne accorgiamo ogni giorno in Europa, dove istituzioni nazionali sono inadeguate ad affrontare problemi sovranazionali come le grandi migrazioni o la fuga da regioni di guerra civile, le istituzioni europee sono deboli o inesistenti, dunque i problemi non vengono affrontati in modo ragionevolmente efficace. Quando le istituzioni diventano palesemente inefficaci, crollano. E il crollo delle istituzioni che non sono riuscite a riformarsi per affrontare i cambiamenti, ma si sono arroccate in difesa, provoca sempre catastrofi e tragedie, prima che si arrivi alla creazione di istituzioni nuove.
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