Da quando è entrata a far parte dell’Unione Europea – nel 2004 − la Polonia ha introdotto una serie di riforme favorevoli al libero mercato, ha conosciuto tassi di crescita economica notevoli ed è stata l’unico paese dell’UE a non entrare in recessione durante la crisi. Ma i recenti sviluppi politici interni al paese stanno preoccupando governi e investitori occidentali, dopo che le elezioni di fine 2015 hanno portato al potere il partito nazionalista Diritto e Giustizia.
In pochi mesi il nuovo governo si è scontrato con i funzionari europei su questioni di diritto, ha aumentato i costi per sovvenzioni sociali, aumentato le tasse a banche, assicurazioni e grandi commercianti − cioè ai settori dove c’è una grande quantità di investimenti stranieri −, ha reso difficile il possedimento legale di terreni da parte di non Polacchi. Tutto ciò sembra confermare l’intento di tassare di più le società e gli investimenti stranieri per bilanciare l’aumento della spesa pubblica. Il governo di Beata Szyd?o ha inoltre previsto la conversione in zloty dei mutui denominati in valuta estera applicando un tasso di cambio inferiore a quello corrente, in modo da alleggerire la pressione sulle famiglie polacche. Ha anche dichiarato che stanzierà 5 miliardi di euro per dare assegni familiari a circa 3 milioni di famiglie, abbassare l’età pensionabile e fornire farmaci gratuiti a chi ha superato i 75 anni. La Polonia ha un deficit (3% del PIL) e un debito pubblico (52% del PIL) bassi, dunque può permettersi di aumentare la spesa sociale, ma in parallelo con l’aumento del PIL.
Dato che più di un quarto delle esportazioni polacche sono dirette alla Germania, l’economia polacca è strettamente legata a quella tedesca, e questo, oltre al fatto di esser parte dell’Unione Europea, limita il margine di manovra del governo. La Polonia non può permettersi di abbandonare il blocco continentale, fonte di investimenti e sicurezza, né di prender le distanze dagli Stati Uniti, principale alleato militare. Al di là della retorica, la Polonia eviterà scontri rilevanti e manterrà rapporti relativamente buoni con gli attuali partner politici, economici e militari. L’Ungheria, il cui governo è ideologicamente vicino a quello polacco, ha lanciato programmi simili in passato, ma neppure Budapest può sganciarsi davvero dall‘Unione Europea: ne soffrirebbero troppo sia l’economia, sia la sicurezza. Non ha potuto sganciarsi neppure la Grecia, che ha dovuto accettare le imposizione della Troika e dell’UE per non subire una crisi economica devastante, che avrebbe messo i Greci in una situazione ben peggiore di quella in cui vivono ora.
Stiamo assistendo a una ribellione politica anti UE in parte delle opinioni pubbliche dei Paesi europei, sotto il peso della crisi economica e della crisi dei migranti, ma è estremamente probabile che queste ribellioni si esauriscano con pochi e limitati provvedimenti interni, senza nessuna uscita effettiva né dall’UE né dall’eurozona, perché si tratterebbe di soluzioni peggiori del male.
I vostri commenti
Per questo articolo non sono presenti commenti.
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati