Ci sono circa 25 milioni di Curdi in Medio Oriente, che parlano le lingue dei diversi stati di appartenenza perché non è loro permesso usare la propria. La maggior parte sono islamici sunniti, ma con minoranze di sciiti, ebrei, yazidi e zoroastriani: si sentono però tutti curdi per etnia, cioè per cultura e tradizioni. Non avendo uno stato proprio, sono spesso oppressi e perseguitati: in Iraq Saddam ne uccise decine di migliaia negli anni ’80, anche avvelenando col gas interi villaggi; in Iran gli ayatollah al potere hanno condannato a morte oltre 1200 prigionieri politici curdi da quando hanno preso il potere. Ai Curdi non rimane che assimilarsi.
La regione abitata dai Curdi si estende attraverso Turchia, Siria, Iraq e Iran, attraverso le valli dei monti Zagros. Enclave curde sono presenti anche in Azerbaigian e Armenia. L’essere una popolazione di montagna ha mantenuto una certa separatezza fra gli abitanti delle diverse valli, che hanno perciò sviluppato dialetti diversi, raggruppati in dialetti Kurmanji a nord (Turchia, Armenia, Siria e nord dell’Iraq), dialetti Sorani a sud (sud dell’Iraq e Iran). Un terzo gruppo di circa 4 milioni di Curdi di Turchia parla ancora un altro tipo il dialetto, lo Zaza.
Da un secolo i Curdi tentano di costituire un proprio stato, ma le condizioni non l’hanno mai permesso. Nel 1946 i Curdi crearono in Iran un’enclave autonoma curda, la Repubblica Mahabad, riconosciuta e sostenuta militarmente dall’Unione Sovietica, ma durò meno di un anno. Ne fu animatore e presidente Mustafa Barzani, padre dell’attuale presidente del Kurdistan iracheno. L’Unione Sovietica tolse il suo appoggio alla Repubblica di Mahabad in cambio di un contratto petrolifero con il governo persiano e la Repubblica fu subito invasa dall’esercito persiano. Oggi i Curdi hanno una regione autonoma in Iraq, ma si tratta soltanto di autonomia amministrativa, non politica. Avevano un certo livello di autonomia amministrativa anche nel Rojava, la regione curda del nord della Siria, sotto il regime di Assad.
La legge internazionale oggi vigente rende impossibile la modifica dei confini esistenti e la costituzione di nuovi stati, anche se ha trovato eccezioni nel riconoscimento dei nuovi stati sorti nei Balcani dagli anni ’90 in poi. Il principio dell’inviolabilità dei confini contrasta con il principio del diritto dei popoli all’autodeterminazione, perciò la comunità internazionale incarnata nell’ONU, soprattutto nel suo Consiglio di Sicurezza, propende, a seconda delle regioni, ora per il principio dell’intangibilità dei confini ora per il principio del diritto all’autodeterminazione, e accetta o rifiuta variazioni ai confini e agli stati in base a considerazioni di opportunità ai fini dell’equilibrio regionale. Creare uno stato curdo incidendo nei territori degli stati attuali creerebbe una coalizione anti-curda fra questi stati, cioè fra Turchia, Siria, Iraq e Iran. La comunità internazionale si troverebbe ad assistere alla strage dei Curdi da parte dei vicini, oppure dovrebbe entrare in guerra in difesa dei Curdi: chi avrebbe interesse a condurre una guerra per i Curdi, oggi? La creazione di uno stato curdo autonomo sarebbe possibile soltanto se si sgretolassero gli stati attuali, come si sgretolò l’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale. Ma oggi si sta sgretolando soltanto la Siria (forse alla fine resisterà anche la Siria), gli altri stati resistono.
Le organizzazioni politiche curde sono tante, di diversa ideologia e di diversa prassi; in comune hanno soltanto l’aspirazione all’indipendenza della nazione curda. Spesso i diversi partiti hanno creato gruppi armati (peshmergha) che in caso di divergenze a volte si affrontano fra loro. Nel 1995 il Partito Democratico del Kurdistan (KDP) sostenne il governo di Ankara e il partito ‘fratello’ PKK (Partito dei Lavoratori Curdi) l’attaccò con le armi. Ovviamente le divisioni fra i partiti curdi sono alimentate e sfruttate dagli stati della regione a proprio beneficio, e anche per destabilizzarsi a vicenda.
Le speranze di autonomia politica dei Curdi si sono risvegliate dal 1991, con la guerra del Golfo e la successiva caduta di Saddam. Durante la guerra in Iraq gli USA crearono una zona di sicurezza sui cieli del Kurdistan iracheno, che permise al governo regionale di rendersi nei fatti più autonomo dal governo di Bagdad. Ma nel 1994 i due principali partiti curdi iracheni, il KDP sostenuto dalla Turchia e il PUK sostenuto dall’Iran, si scontrarono in una guerra civile terminata nel 1998 grazie all’arbitrato degli USA. Oggi esiste una miriade di gruppi armati curdi, talora estremisti. Il Partito per la Libertà di Vita in Kurdistan, formatosi in Iran da circa 10 anni, sferra attacchi contro le forze di sicurezza iraniane. I Falchi della Libertà, nati in Turchia, compiono attentati terroristici nelle città turche. I maggiori partiti politici cercano di frenare questi gruppi e di prevenire scontri intra-curdi, tuttavia il KDP continua a permettere alla Turchia di bombardare le basi del PKK in Kurdistan, probabilmente perché è il prezzo da pagare per l’aiuto turco nell’esportazione del petrolio. Il pericolo dell’ISIS ha indotto le varie milizie peshmerga a far fronte comune contro il nemico comune, ma senza sviluppare un comando unificato − il che ha portato al mancato coordinamento delle forze e a una bassa efficacia. Un certo grado di coordinamento è stato raggiunto soltanto grazie ai consiglieri e addestratori degli USA, che forniscono anche la copertura aerea e il servizio di ricognizione tramite droni. Le speranze di autonomia curda difficilmente troveranno realizzazione presto, a meno che non se ne faccia paladino l’Iran, con una mossa a sorpresa, per avere un alleato forte nella regione, da contrapporre agli Arabi sunniti e anche alla Turchia. Per ora non sembra un passo che la parte iraniana intenda muovere, ma non è del tutto impensabile.
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