Lo sviluppo ha bisogno di acciaio. L’acciaio è necessario per costruire qualunque infrastruttura, qualunque macchinario, qualunque strumento di produzione. La Cina comunista in tutta la sua storia ha perseguito una politica di sviluppo intensivo di produzione di acciaio per alimentare lo sviluppo del paese. L’acciaio non bastava mai, fino agli anni ’90 era necessario importarne dall’estero. Ma dal 2006 la produzione ha iniziato a superare la richiesta interna, per il rallentamento della crescita, che si è attestata attorno al 6% l’anno, contro ritmi di crescita che negli anni ’80 e ’90 hanno toccato anche il 20% l’anno.
Perciò i grandi produttori di acciaio cinesi – che appartengono direttamente allo stato, mentre sono private le centinaia di piccole produzioni sparse su tutto il territorio cinese − hanno puntato sull’esportazione, determinando un forte calo dei prezzi sul mercato globale. La produzione di acciaio cinese ha continuato ad aumentare, superando il 50% della produzione mondiale (tabella a fianco) e l’aumento è stato assorbito dai mercati esteri. Le esportazioni hanno inondato il mercato mondiale, portando alla chiusura di molte acciaierie nel mondo occidentale e in Giappone. Nei primi mesi del 2016 l’Unione Europea e gli Stati Uniti sono corsi tardivamente ai ripari e hanno imposto dazi sull’acciaio cinese, a protezione delle proprie aziende. Ora le grandi acciaierie cinesi puntano a diventare multinazionali, acquistando piccole acciaierie in vari paesi del mondo per poi svilupparle: in India e in Brasile in primo luogo, perché sono paesi che avranno certamente buoni tassi di sviluppo nei prossimi anni, ma anche in altre regioni del globo.
È la logica della globalizzazione: i produttori più efficienti aprono punti di produzione nei paesi del mondo che costituiscono un potenziale buon mercato. Così la produzione diventa locale, si riducono i trasporti e aumenta l’impiego locale, mentre la proprietà della marca, dei brevetti e della struttura di produzione è dell’investitore, che può essere in qualunque parte del globo. La tecnologia e i sistemi di produzione più efficienti si espandono nel mondo, grazie alla libera competizione globale, accelerando l’efficienza e lo sviluppo delle regioni meno sviluppate. I risultati a lungo termine sono positivi, ma la pressione della competizione produce ansia, fa sparire le aziende meno efficienti e può provocare forte opposizione nelle società che hanno più difficoltà ad adeguarsi, spingendo i politici a legiferare per restringere il libero accesso al mercato. Un altro pericolo è che si raggiungano situazioni di monopolio: un solo gruppo potrebbe giungere a controllare un certo tipo di produzione in tutto il mondo, imponendo le proprie condizioni e impedendo l’accesso ad altri. È perciò necessario che gli stati adottino legislazioni volte a impedire al formazione di monopoli, oltre che permettere la competizione.
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