Il voto sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea potrebbe sancire formalmente la sfiducia degli Europei in questa loro Unione, ma non avrebbe grandi conseguenze né sui rapporti commerciali interni all’Europa, né sulle loro legislazioni. Ma la sfiducia nelle istituzioni dell’Unione Europea che si sta diffondendo in molti paesi dovrebbe avviare in tutti noi – e fra i politici − un ripensamento profondo.
Perché la percezione positiva dell’Unione Europea, diffusa in tutta Europa fino al 2005, nell’arco di dieci anni si è tramutata in scetticismo e persino in chiara opposizione? Perché negli ultimi dieci anni gli Europei hanno visto diminuire la loro importanza nell’economia globale, aumentare la disoccupazione, peggiorare le condizioni di vita delle classi medie, aumentare il numero di immigrati e rifugiati. Di fronte a tali problemi, l’impossibilità di azione efficace sia da parte delle istituzioni europee sia da parte dei singoli governi ha convinto molti che i singoli stati da soli avrebbero potuto agire in modo più efficace se non avessero avuto le mani legate dalle regole dell’Unione Europea. In realtà affrontare i problemi separatamente, in ordine sparso, sarebbe stato peggio – ma i politici populisti hanno cavalcato l’onda della delusione per la scalata al potere.
Più danni ancora ha fatto la percezione da parte delle élite e delle classi medie che in queste crisi la Germania abbia imposto la sua volontà agli altri paesi, tramite il peso preponderante che ha nelle istituzioni europee, conseguenza logica del peso della sua economia e della sua popolazione. L’umiliazione evidente dei premier di Italia e Grecia durante la crisi dei titoli di stato e l’imposizione del fiscal compact ai paesi dell’Eurozona hanno suscitato anche nei paesi non direttamente coinvolti il timore dell’egemonia tedesca. La crisi dei profughi ha confermato questi timori: a decidere l’accoglienza in Europa e a trattare con la Turchia è andata la Merkel, non l’Unione Europea. Non c’è vera contestazione delle singole posizioni tedesche fra le persone dotate di senno: la Merkel ha fatto del suo meglio, il fiscal compact voluto dalla Germania alla lunga avrà effetti positivi. Ma c’è il timore di non avere più voce in capitolo nelle decisioni importanti, che vengono prese al di fuori della politica: il deficit di democrazia delle istituzioni europee è l’argomento che più incita gli Inglesi a votare contro l’appartenenza all’Unione.
Finché andava tutto bene il deficit di democrazia non allarmava. Non allarmava molto l’eccesso di discussioni burocratiche e tecniche. Si poteva ridere del fatto che otto ministri si ritrovassero attorno a un tavolo per decidere la posizione e le dimensioni degli specchietti retrovisori delle automobili, ma non si metteva in discussione l’utilità dell’Unione per preservare la pace, promuovere l’integrazione, agevolare i commerci. Soltanto di fronte ai grandi problemi del nuovo secolo le opinioni pubbliche si stanno rendendo conto che il re è nudo, che l’Unione non ha potere politico né legittimità democratica. Ma questo non vuol dire che possiamo fare a meno del re, o che i singoli stati nazionali possono far meglio da soli.
L’Unione va ripensata, ma non potrà essere abbandonata. Le prossime crisi economiche e i prossimi pericoli alla sicurezza dimostreranno la necessità di essere uniti. Impareremo che ormai abbiamo bisogno anche di una politica di difesa comune − ma speriamo di non pagare troppo cara la lezione.
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