Sino a metà giugno gli interventi russi in Siria sono stati condotti in modo da non arrecare danni agli istruttori americani e alle forze siriane, né agli aerei americani. Gli Americani hanno fatto altrettanto rispetto alle forze russe e hanno concentrato le loro energie in Siria e in Iraq soltanto contro l’ISIS. Ma il 16 giugno aerei russi hanno attaccato ripetutamente distaccamenti del Free Syrian Army e aerei americani fermi sulla pista ad al-Tanf, al sud della Siria, al confine con la Giordania, dove operano istruttori americani, inglesi e giordani in appoggio alle operazioni del Free Syrian Army contro l’ISIS in direzione di Deir el-Zour. Nel frattempo le forze di Assad, sostenute dai Russi, stanno conquistando terreno ad Aleppo e stanno attaccando l’ISIS attorno a Raqqa, nel nord della Siria.
È una provocazione grave, che i Russi possono aver commesso o per screditare e umiliare gli Occidentali agli occhi della popolazione e dei reparti del Free Syrian Army, o per avvisare gli USA che, man mano che la cacciata dell’ISIS si approssima, si avvicina il rischio di scontri diretti fra forze sostenute dagli Americani e forze sostenute dai Russi, perciò è necessario che le due potenze avviino fra di loro trattative sulla Siria, cosa che gli USA hanno sino a ora rifiutato di fare. Alla caduta dell’ISIS è molto probabile che riprenda la guerra civile fra le diverse milizie armate che si sono ribellate ad Assad e l’esercito di Assad, perciò pare davvero l’ora di discutere una possibile soluzione futura per la Siria. Ma chi potrebbe garantire l’eventuale accordo fra tutte le fazioni, se, come è molto probabile, l’accordo non dovesse essere rispettato? Forse un intervento congiunto di Russi e Americani? No, se non c’è un accordo anche fra i paesi confinanti, oltre che fra le tribù sul territorio e le loro milizie armate.
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