Dallo scorso aprile in Zimbabwe (che sotto gli Inglesi si chiamava Rhodesia) si susseguono dimostrazioni di protesta e scontri con le forze di sicurezza. Non è la prima volta nella storia del lunghissimo governo di Robert Mugabe, ormai novantaduenne, che è al potere dal 1980, anno in cui il paese conseguì l’indipendenza dall’Inghilterra, sotto la guida dello stesso Mugabe. Ma recentemente alle proteste ha partecipato anche l’associazione dei veterani di guerra, che sino a ora sono sempre stati grandi sostenitori di Mugabe e hanno spesso aiutato la polizia e l’esercito a soffocare le proteste.
Il motivo fondamentale delle proteste è la pessima condizione dell’economia. Mugabe ha nazionalizzato la terra, le risorse minerarie e le aziende, dopo aver cacciato dal paese i coloni ‘bianchi’. La terra è poi stata divisa fra i contadini, ma in lotti troppo piccoli per permettere produzioni intensive e investimenti in macchinari e infrastrutture. Così lo Zimbabwe, terra fertilissima, è passato dall’esportare prodotti agricoli all’insufficienza alimentare nell’arco di un decennio. I burocrati di stato, il personale sanitario, gli insegnanti e i militari o ex militari sono numerosi e molto ben pagati dallo stato. Ma stipendi alti e crollo della produzione agricola hanno portato a una inflazione tale a fine degli anni ’90, che da allora la moneta dello Zimbabwe non viene quasi più usata per le transazioni all’interno, sostituita nei fatti dall’uso di dollari americani. L’introito di dollari USA per mandare avanti il paese avviene fondamentalmente a fronte dell’esportazione delle risorse minerarie di cui lo Zimbabwe è ricco. Ma la crisi globale ha fatto diminuire sia la richiesta sia il prezzo dei minerali, perciò ora le casse dello stato sono quasi vuote e gli stipendi vengono pagati con grande ritardo, talora con sospensione di mesi. A fine luglio 2016 lo stato aveva riserve sufficienti soltanto per due mesi. Fra due mesi il governo non avrà più il denaro necessario per importare il cibo e per pagare gli stipendi ai dipendenti.
Per aumentare la produttività dell’agricoltura e rendere lo Zimbabwe di nuovo autosufficiente dal punto di vista alimentare occorrerebbero grandi investimenti in macchinari e infrastrutture, ma lo stato non ha nessuna riserva da investire, perché ha sempre speso tutto in stipendi ai dipendenti pubblici e importazione di cibo dall’estero. Il paese può essere salvato soltanto con grandi e immediati prestiti del Fondo Monetario Internazionale o di altri enti dall’estero, che per concederli richiederanno profonde riforme del sistema produttivo e statale. Ma Mugabe non accetterà di trattare – perciò è probabile che anche i suoi più fedeli seguaci gli volteranno le spalle per sostituirlo con qualche politico più giovane e più flessibile, che riesca a evitare la fame, la ribellione generalizzata, il caos.
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