A quindici anni dall’inizio della guerra in Afghanistan gli Stati Uniti non possono abbandonare il paese, perché la guerra civile continua e i Talebani e l’ISIS occupano oltre un terzo del territorio. L’ISIS ha fatto proseliti anche fra Talebani e infesta la provincia di Nangarhar, al confine con il Pakistan. I Talebani dallo scorso settembre controllano anche la regione attorno a Kunduz, nel nord (mappa cliccabile a lato).
Gli Americani hanno ancora 9800 soldati in Afghanistan che assistono le truppe regolari afghane. A fine anno dovevano essere ridotti a 5500, ma il presidente Obama ha deciso non soltanto di rimandare il ritiro, ma anche di autorizzare di nuovo missioni di combattimento, non solo di appoggio ai combattimenti delle truppe afghane.
Le trattative fra il governo afghano e i Talebani proseguono da anni senza portare a risultati apprezzabili. Nel corso dell’ultimo anno i Talebani hanno conquistato grandi porzioni di territorio, mettendo in grande difficoltà l’esercito e il governo. La regione di Helmand, attorno a Lashkar Gah, che ha una maggioranza di popolazione pashtun, rappresenta il problema maggiore: lì i Talebani sono appoggiati dalla popolazione e non si riescono a scalzare. È la zona di produzione dell’oppio, che procura grandi proventi ai Talebani, con cui si possono comperare armi ed equipaggiamenti avanzatissimi.
Per il governo è essenziale mantenere aperte e sicure le strade tramite una fitta serie di checkpoint, ma non ha abbastanza uomini per mantenere i checkpoint e nel contempo combattere sul terreno i Talebani in tutte le province. Se non avesse più il supporto aereo e i droni degli USA, il governo afghano vedrebbe il proprio esercito travolto dai Talebani al massimo nell’arco di un anno. Perciò Obama non può mantenere la decisione di ritirare le truppe: si verrebbe a creare una situazione paragonabile a quella dell’Iraq, con parte del paese in mano all’ISIS e una condizione di guerra civile in quasi tutte le regioni.
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