In occasione di una recente visita in Bahrain, Erdogan ha accusato l’Iran di voler smembrare l’Iraq e la Siria e ha definito il “nazionalismo persiano” una minaccia che deve essere bloccata. L’Iran, com’era prevedibile, ha rimandato al mittente l’accusa, incolpando la Turchia di sostenere i terroristi e di violare l’integrità territoriale e la sovranità della Siria. Un giornale turco ha rincarato la dose accusando Teheran di creare i presupposti per una “guerra civile islamica”.
La guerra cui si fa riferimento è la contrapposizione tra sunniti e sciiti. L’Iran è, di fatto, il leader tra i paesi a maggioranza sciita, mentre la Turchia sta cercando di assumere lo stesso ruolo nel mondo sunnita. Gli stati arabi hanno bisogno della Turchia per contrastare l’Iran, ma non vogliono accettare il predominio turco. L’Arabia Saudita sta cercando di instaurare una sorta di alleanza con la Turchia, avendo compreso che al momento la Turchia è in posizione dominante e l’alternativa sarebbe la subordinazione di Riad ad Ankara.
La guerra civile che i Turchi denunciano come una tragica eventualità in realtà è in atto da quasi quarant’anni, dalla nascita della Repubblica islamica iraniana. La contrapposizione tra sciiti e sunniti è invece una costante sin dagli albori dell’Islam: ha le sue radici nell’elezione del primo Califfo (che significa successore) in seguito alla morte del Profeta Maometto, nel 632. La maggioranza dei suoi seguaci appoggiò Abu Bakr, amico del Profeta, mentre gli altri sostennero che la carica dovesse passare a un consanguineo di Maometto, Ali. Questi presero il nome di sciiti, forma contratta dell’espressione “shiaat Ali”, il partito di Ali. I sostenitori di Abu Bakr ebbero la meglio, ma nel 656 l’assassinio del terzo califfo Othman ibn Affan aprì la prima grande frattura nella comunità islamica (la umma).
La seconda e ancora più grave frattura si produsse nel 680 con la battaglia di Karbala (nell’attuale Iraq), durante la quale le truppe del Califfo sunnita dalla dinastia Omayyade uccisero Hussain, figlio di Ali, e molti membri della sua famiglia. Il massacro di Karbala, nel quale un discendente del Profeta fu ucciso da mano musulmana, è l’episodio attorno al quale si cristallizzò la religiosità sciita, pervasa dal culto della passione e del martirio, espresso ancora oggi in cerimonie di lutto come la ashura (in cui i fedeli sciiti si flagellano per ricordare la morte di Hussein a Karbala).
Quando la dinastia Abbaside di Bagdad spodestò quella Omayyade di Damasco il califfato cessò di essere un’entità geopolitica unitaria, perché gli Omayyadi scampati al massacro stabilirono un nuovo califfato a Cordoba, del tutto indipendente da quello degli Abbasidi. Oltre a una serie di emirati, imamati e sultanati, sorse un terzo califfato − quello dei Fatimidi − anch’esso sunnita e in competizione con gli altri due. Con il passare del tempo anche gli sciiti conquistarono il controllo politico di alcuni territori e si divisero in sette diverse (duodecimana, ismaelita, zaidita, alawita, ecc.) la maggior parte delle quali non riconosce il califfato e sostiene che la guida del mondo islamico spetti al dodicesimo imam discendente diretto del Profeta, che un giorno riapparirà per compiere la volontà divina.
Nella prima metà del 1500 in Persia sorse l’impero dei Safavidi che impose lo sciismo duodecimano come religione di stato, mentre nel mondo arabo prese il sopravvento il sultanato ottomano. Queste due potenze si fecero guerra, ma gli Ottomani ebbero la meglio perché fortemente radicati nei territori dell’attuale Iraq e Siria. Con l’avvento della modernità i due imperi furono vittime del colonialismo europeo che tracciò molti dei confini dei moderni stati-nazione della regione, in cui però permasero le divisioni religiose dei secoli precedenti.
Dopo quasi un secolo, gli stati-nazione arabi sono ora sotto enorme pressione a causa dell’evoluzione delle lotte intestine al mondo musulmano, che in realtà non sono mai cessate. Alcuni di questi stati sono ormai disgregati ed è improbabile che possano tornare a esistere così come li abbiamo conosciuti. Il conflitto tra sunniti e sciiti è l’esempio più evidente della battaglia che sta scoppiando, ma non è il più importante. Ogni volta che gli sciiti sono stati alla guida di una potenza regionale nella storia, nel mondo sunnita è scoppiata una crisi interna. Così è avvenuto anche oggi: abbiamo un mondo sunnita frammentato lungo linee geografiche, etniche, culturali, politiche e ideologiche. L’islamismo e la sua violenta incarnazione nel jihadismo sono la diretta conseguenza della crisi intellettuale e geopolitica in corso all’interno della setta musulmana maggioritaria (sunnita).
Siamo soliti pensare a una guerra civile come allo scontro all’interno dei confini di un unico stato. Il conflitto in Siria è un tale tipo di conflitto, ma è soltanto uno degli elementi che determineranno l’assetto del Medio Oriente. Le guerre religiose che solcano trasversalmente tutto il mondo islamico sono ancora più rilevanti e sarà il loro esito a forgiare i rapporti tra i paesi a maggioranza musulmana e l’Occidente.
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