L’incontro del 23-24 agosto di Macron con i presidenti di Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Bulgaria ha per oggetto la discussione sulla riforma del mercato del lavoro ‘comandato’ in Europa, per diminuire la disoccupazione e tranquillizzare i sindacati.
L’opinione pubblica francese (ma non solo) vede l’afflusso di lavoratori stranieri come causa di concorrenza sleale e di disoccupazione. I lavoratori stranieri che fanno concorrenza agli Europei dell’Ovest sono soprattutto quelli dell’Europa dell’Est. La causa principale della brexit, sostiene Macron, è stata la concorrenza che i lavoratori arrivati dall’est hanno portato ai lavoratori manuali in Inghilterra. Macron cerca di attaccare il problema chiedendo il cambiamento delle regole sui lavoratori ‘comandati’ o ‘in missione’, cioè sui lavoratori dipendenti di un’azienda europea che l’azienda manda a lavorare in un altro paese europeo. Non sono moltissimi, come si vede nel grafico cliccabile a fianco. In Francia sono 177674, in larga parte controbilanciati dai 139040 lavoratori francesi mandati a lavorare altrove dalle aziende francesi. Il 17% dei lavoratori mandati in Francia da aziende di altri paesi europei vengono dalla Polonia. Gli altri vengono da Portogallo, Spagna, Belgio e Germania. Anche i lavoratori francesi ‘comandati’ in altri paesi europei sono in grande maggioranza nell’Europa occidentale.
La normativa europea attualmente prevede che ai lavoratori ‘comandati’ si applichino le condizioni contrattuali del paese in cui risiede l’azienda datrice di lavoro. Ai lavoratori polacchi in Francia ad esempio si applica il contratto di lavoro e lo stipendio della Polonia, non quello della Francia.
Macron cerca il consenso dei paesi europei sulla riforma delle regole del mercato del lavoro europeo, proponendo un obiettivo massimo e uno minimo: il massimo è ottenere che in tutti i paesi dell'UE vengano applicati salari minimi uguali e uguali contratti di lavoro, a parità di lavoro. Il minimo è ottenere che ai lavoratori ‘comandati’ si applichino i contratti e gli stipendi in vigore nei paesi di destinazione, non quelli in vigore nei paesi d’invio.
Poiché si tratta di un numero di casi limitato, cambiare le norme soltanto per i lavoratori ‘comandati’ non stravolgerebbe gli equilibri dell’attuale mercato del lavoro e non inciderebbe molto sul tasso di disoccupazione, ma darebbe comunque a Macron e agli altri politici europei l’aura dei difensori dei lavoratori.
Si oppongono per ora all’idea di qualunque riforma imposta a tutta Europa i paesi europei per i quali le rimesse dei lavoratori all’estero costituiscono una percentuale significativa del PIL, fra i quali, come mostra la tabella cliccabile a fianco, si trovano non soltanto paesi dell’est ma anche il Belgio, dove molti si recano a lavorare in Germania, Francia, Olanda, ma mantengono la residenza fiscale in Belgio, dove si pagano meno tasse.
La vera riforma che egualizzerebbe le condizioni di vita e di lavoro in Europa sarebbe la creazione di un fisco europeo unico, ma questo toglierebbe agli stati e ai governi ogni vera indipendenza, perciò è molto difficile che ci si arrivi in un prevedibile futuro.
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