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Non si capisce il Medio Oriente oggi se non si conosce la lunga rivalità culturale, religiosa e politica fra Arabi e Persiani, iniziata nel 650 sotto il Primo Califfo Rashidun.
Prima dell’islam gli Arabi vivevano nella penisola arabica, divisi in varie tribù indipendenti, accanto a tribù di diversa etnia e diversa religione. Il Medio Oriente era diviso fra l’Impero Bizantino e l’Impero Sassanide. I Sassanidi erano una dinastia ‘persiana’, ma allora gli abitanti dell’odierna Persia si chiamavano Parti, quei Parti tanto temuti dall’Impero Romano.
Alla morte di Maometto, nel 632, la penisola arabica era già unificata, dieci anni più tardi il Califfo Rashidun avrebbe fatto cadere l’Impero Sassanide e ne avrebbe conquistato l’intero territorio, fino all’Asia Centrale. L’impero bizantino avrebbe invece resistito altri 800 anni, pur con perdite territoriali.
La conquista araba fece cadere le istituzioni sassanidi e impose lentamente l’islam, ma la grande e raffinata cultura persiana impollinò la cultura araba e l’islam stesso, modificandoli. Successe cioè quello che era successo ai Romani dopo la conquista della Grecia: i vinti conquistarono culturalmente i vincitori. Il Califfato adottò le istituzioni persiane per governare, amministrare, tassare, coniare moneta. La maggioranza dei governatori locali presto furono non arabi ma persiani.
Il secondo Califfato degli Abbasidi spostò la capitale dell’Impero a Damasco, nel cuore della cultura persiana, e accelerò la ‘persianizzazione’ dell’islam. Si adottò l’alfabeto arabo per scrivere anche il persiano, e il persiano divenne la lingua delle classi colte e dell’alta burocrazia. Scienziati, filosofi, poeti e giuristi dell’impero arabo abbaside scrivevano in persiano, non in arabo.
L’islam si diffuse in tutta l’Asia Centrale presso le popolazioni di etnia turca nella versione persianizzata. Gli stessi Arabi assunsero tradizioni persiane, adottando talora anche la versione sciita dell’islam, non quella sunnita. Finì che nel IX secolo il Califfato Abbaside si sgretolò in vari principati persiani e turchi. Gli Abbasidi rimasero nominalmente Califfi, ma nei fatti non controllavano più il territorio a est di Baghdad. Persino in Siria, Egitto e Marocco si crearono principati locali sciiti, il più importante dei quali fu quello dei Fatimidi, che finì col creare un Califfato rivale.
Anche le aree che rimasero sempre sunnite caddero sotto la dominazione di dinastie persiane in qualche periodo della loro storia.
Nel XIII secolo i Mongoli distrussero quel che rimaneva del Califfato Abbaside e assunsero il controllo del mondo islamico persiano, con i loro alleati di etnia turca. Si convertirono all’islam e crearono regni dominati da etnie turco-mongole, che però assunsero la cultura e le istituzioni di governo persiane, estendendosi dalle steppe dell’Asia Centrale (impero Timuride 1370-1507) fino all’India (impero Moghul 1526-1857).
I Persiani respinsero le forze dei turco-mongoli dal proprio territorio e ricostituirono un proprio impero sotto la dinastia Safavide (1501-1736), che pose le basi della Persia moderna, ma fu sempre in guerra con gli Ottomani per il controllo della Mesopotamia. I Safavidi adottarono lo sciismo come religione di stato e videro il loro saldo dominio vacillare soltanto sotto la forte pressione degli Europei da nord (Impero Russo) e da sud (Impero Britannico).
Si può dire che gli Arabi non si ripresero mai dalla caduta degli Omayyadi e dalla persianizzazione del Califfato Abbaside. Ebbero ancora una storia e una cultura splendida in Spagna fino al 1492, ma negli altri territori islamici il potere di governo e la preminenza culturale passò a dinastie persiane, turche e mammalucche. Le dinastie arabe che ancora ebbero il potere politico (i Fatimidi, gli Zaidi, i Quarmati) adottarono però la variante persiana dell’islam, lo sciismo, per non entrare in conflitto totale con i Persiani.
Dopo il fallimento dell’ideologia e della politica panaraba e socialista della seconda metà del 1900, il mondo arabo è oggi devastato quasi ovunque da feroci guerre civili. Si tratta essenzialmente di guerre fra islamisti sunniti e islamisti sciiti, in cui gli sciiti arabi sono sobillati, organizzati, finanziati, armati e addestrati dall’Iran. Questo avviene in Iraq, in Siria, in Libano, in Yemen, a Bahrein, nelle provincie orientali dell’Arabia Saudita.
È l’ennesima riedizione del millenario conflitto fra Arabi e Persiani per l’egemonia culturale, politica ed economica sul mondo islamico e per il controllo delle sue ricchezze. Entrambe le parti giocano la partita in nome dell’Islam, per creare la pura e giusta società islamica che certamente conquisterà e salverà il mondo. In realtà è la guerra fra Arabi e Persiani per il controllo del gas e del petrolio di tutto il Medio Oriente, e per questo ogni jihadista islamico fa carneficina di altri Islamici.
In questa guerra gli Arabi del Medio Oriente sono di nuovo la parte più debole: hanno poca popolazione, un’economia troppo dipendente da gas e petrolio, sono poco uniti fra di loro. Possono tener testa all’Iran soltanto se hanno anche l’Egitto come alleato pronto a impegnare l’esercito. Ma gli Egiziani sono poveri, non hanno interessi diretti nella gestione del petrolio del Golfo. Tocca ai Sauditi sostenerli finanziariamente per averli alleati, e i Sauditi sono in difficoltà dopo tanti anni di basso prezzo dell’energia e grandi spese militari. Inoltre anche l’Egitto è a rischio di insurrezione e di guerra civile dal 2011 in poi, perché i Fratelli Musulmani vogliono ottenere il potere e creare lo stato retto dalla legge islamica, convinti che la povertà potrà essere eradicata soltanto cambiando la natura dello stato.
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