Voglia di secessione: il vuoto di potere e l’UE

26/10/2017

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L’Unione Europea, creata per superare le frontiere, per aprire un vasto spazio di vita e di lavoro secondo regole comuni, vede oggi secessioni locali e battaglie, per ora soltanto politiche, che tendono a creare nuove frontiere su territori ristretti. Si direbbe che il superamento delle frontiere nazionali sia ormai sentimento diffuso, ma che questo porti al prevalere di interessi locali su base territoriale ristretta.

Lo aveva previsto lucidamente Umberto Eco negli anni ’70, che parlava di Medioevo prossimo venturo.

Per creare le nuove frontiere si invocano antiche identità locali, si rievocano storie e lingue locali (in Scozia, in Catalogna, nelle Fiandre e in Vallonia, nel Lombardo-veneto), ma queste identità ristrette non vogliono chiudere le porte alla globalizzazione, neppure all’afflusso di lavoratori stranieri, se utili. Il partito secessionista catalano ha dichiarato che i residenti stranieri sono e rimangono benvenuti, alla pari di quelli spagnoli, equiparando gli Spagnoli non catalani agli immigrati di qualunque altra parte del mondo! Il Veneto non vuole la cacciata delle centinaia di migliaia di lavoratori stranieri sulle cui spalle poggia la sua agricoltura e parte dell’industria turistica, vuole la cacciata delle burocrazie statali.

La causa di queste ‘secessioni’ è in primo luogo il desiderio di autonomia fiscale e organizzativa da parte di regioni ricche che non vogliono più pagare tasse a beneficio di regioni più povere, e che trovano inefficiente e sprecona la burocrazia dello stato, cioè vedono lo stato come un ente inutile.

È la conseguenza dell’aver costruito un’Unione Europea a metà: le norme comunitarie legano le mani agli stati, ma non ci sono istituzioni sovranazionali che li sostituiscano per gestire in modo evidente ed efficace le politiche comuni. Nel vuoto di potere che si è così creato  e che è ormai lampante agli occhi di tutti − si aprono spazi per lo sviluppo di poteri locali che assumono atteggiamenti sprezzanti verso lo stato.

Questo non succede ancora in Francia, perché la popolazione ha la sensazione che lo stato sia impegnato in una sfida in Europa per assumere attivamente la direzione dell’Unione, per determinarne la politica. I Francesi di Macron e i Tedeschi della Merkel non hanno la sensazione che il loro stato sia inutile e impotente. Noi in Italia invece abbiamo la sensazione di impotenza dello stato, così come gli Spagnoli delle regioni del nord, i Greci, gli abitanti di tutti i paesi che patiscono da dieci anni fenomeni cui lo stato non riesce a porre nessun rimedio: crisi finanziaria, crisi economica, deterioramento dei servizi pubblici e delle infrastrutture, disoccupazione, immigrazione incontrollata…

Negli stati dell’est Europa, dalla Polonia all’Ungheria, la reazione al vuoto di potere creato dall’Unione Europea è stata diversa, ha portato a posizioni di sfida e opposizione alle richieste europee da parte dei governi nazionali, soprattutto dopo aver visto come l’UE fosse impotente e irresoluta di fronte alla violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina da parte della Russia.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale a tutti gli anni ’90 l’Europa si è retta su tre principi largamente accettati:

-          che le frontiere degli stati fossero inviolabili e indiscutibili, perché toccare le frontiere porta guerra. Meglio vivere con frontiere irragionevoli e arbitrarie che cercare di cambiarle;

-          che le sfere di influenza fra Americani e Russi non fossero da mettere in discussione, perché i cambiamenti avrebbero potuto scatenare una nuova grande guerra;

-          che la pace e la stabilità del Continente si basano sulla collaborazione fra Francia e Germania, perciò le istituzioni europee hanno come obiettivo principale la collaborazione fra questi due paesi, gli altri paesi sono collaterali, fanno da zavorra per trattenere Francia e Germania dal prendere il volo e attuare politiche troppo nazionaliste.

Questi tre principi sono stati rimessi in discussione dal crollo dell’Unione Sovietica:

-          la Jugoslavia e la Cecoslovacchia si sono frantumate in più stati con la benedizione del resto d’Europa;

-          l’egemonia russa è scomparsa, finché Putin non riprese ad esercitarla su alcuni territori di frontiera, dall’invasione della Georgia del 2008 in poi;

-          Francia e Germania hanno proceduto di comune accordo ad ampliare l’Unione (trattato di Maastricht 1992) e a rafforzarne i legami commerciali e monetari, ma senza dare all’Unione una politica sociale e fiscale comune, né una politica industriale, né una politica estera comune.

Il Trattato di Maastricht riaffermò il diritto all’autoderminazione dei popoli, ma senza spiegare che cosa sia un popolo, dando per scontato che si trattasse della popolazione presente all’interno dei confini degli stati esistenti al momento della ratifica del trattato.

Ora in Catalogna e in Scozia, come in Veneto e in Lombardia, una parte della popolazione chiede la secessione o una maggiore autonomia, ma una parte all’incirca altrettanto numerosa di popolazione la rigetta. Può essere la premessa di evoluzioni politiche pericolose: quando la politica si dà basi ideologiche identitarie gli esiti rischiano sempre di essere violenti.

Se prendessero piede le rivendicazioni di autonomia su base identitaria anche nell’Europa dell’est, le conseguenze sarebbero enormi, dato che i paesi che appartennero all’Impero austroungarico e all’Impero zarista sono mosaici etnici complessi e molti loro territori hanno tradizioni di appartenenza a nazioni diverse da quelle attuali. Si pensi a Lviv, città che fu sempre polacca e ora è in Ucraina.

Per ora le richieste di autonomia o di secessione hanno fondamentalmente base economica, anche se già si rivestono di orpelli storici e culturali. Decenni di pace hanno cancellato la percezione del pericolo di invasioni e la necessità di difesa comune, decenni di europeismo hanno cancellato i sentimenti nazionali, perciò la legittimità dello stato viene percepita su base economico-sociale: se fornisce crescita e servizi è legittimo, altrimenti no. 

La prima mappa a lato mostra come è variato il potere d’acquisto nelle varie regioni d’Europa negli anni 2007-2015, rispetto alla media europea. Le tonalità di azzurro più o meno intense indicano variazioni positive più o meno intense. Le tonalità di rosa più o meno intenso indicano variazioni negative più o meno intense. Non c’è da stupirsi se cresce l’incertezza e la richiesta di cambiamento nelle aree rosa. Il cambiamento è una via di fuga sia in direzione del passato (ritorno alla campagna, a cibi e servizi a chilometri zero, persino rifiuto della medicina moderna), sia in direzione di un futuro utopistico (megacities intelligenti ed ecologiche, macchine intelligenti e totalmente automatiche). In questi anni siamo confusi, il nostro senso di identità e di appartenenza è confuso. Il rischio è la rottura della coesione sociale. L’opportunità è la possibilità di creazione di stati più efficienti e meno costosi – se sapessimo costruirli!

Si noti come la suddivisione fra aree rosa e aree azzurre ricalca la suddivisione geografica − e storica − fra l’Europa che si protende sui mari e l’Europa della grande pianura di nord est, ricca di risorse, dove produzione e trasporti sono facili, ma sono facili anche le invasioni.  L’Europa protesa sul mare è rosa, ha perso vantaggi nell’attuale fase di ristrutturazione economica e politica dell’Europa e del mondo, perciò vuole avere maggiore libertà di iniziativa e di decisione a livello locale per tentare di far meglio. L’Europa della grande pianura è azzurra, è diventata più ricca e più competitiva sfruttando la piena integrazione del suo ricco territorio nell’economia globale. Ma ha paura di poter essere attaccata e invasa da est (Russia) e da sudest (penisola balcanica) e si rinchiude preventivamente in difesa. Non a caso la divisione fra rosa e azzurro nella prima mappa quasi ricalca la divisione d’Europa durante la Guerra fredda (terza mappa) e persino la divisione del continente all’epoca dell’Impero Romano (quarta mappa): la grande pianura europea è geograficamente un grande bacino fertile privo di ostacoli, e questo la porta a ritrovarsi spesso unificata sotto il dominio politico delle popolazioni che ne abitano la parte più orientale. Invece l’ Europa montagnosa che si protende verso il mare è tutta nicchie che la rendono più frammentata, meno ricca, ma anche più protetta da invasioni via terra. È l'Europa occidentale, che subisce sempre l’egemonia di chi domina i mari con la flotta più grande e più potente,  ma riesce a impedire conquiste durature delle sue valli e delle sue pianure, mantenendo così una continuità storica e culturale che costituisce l'identità di quello che oggi chiamiamo 'Europa' . 

Difficilmente l’Europa può trovare un accordo su politiche economiche comuni, su di una comune politica estera, su di una comune politica difensiva: le necessità e le possibilità dei paesi della grande pianura e quelle dei paesi protesi sui mari sono molto diverse. Ma l’assenza di una politica comune europea per governare davvero l’Europa crea quel vuoto di potere cui i cittadini reagiscono votando per partiti ‘di protesta’, o uscendo dallo stato. L’uscita dallo stato può avvenire per iniziativa privata (i nostri giovani più in gamba vanno all’estero) o politica, cioè con istanze di autonomia o secessione.

Ma la questione è l’Unione Europea, perché è l’Europa che lascia un vuoto di potere ogni giorno più pericoloso. Brexit e secessione catalana sono due esperimenti di cambiamento per riempire quel vuoto, cercando libertà di azione a livello locale. Seguiamo con grande attenzione i risultati di questi esperimenti, perché serviranno da lezione ad altre regioni e altri paesi. 

Ma la questione è l’Unione Europea, perché è l’Europa che lascia un vuoto di potere ogni giorno più pericoloso. Brexit e secessione catalana sono due esperimenti di cambiamento per riempire quel vuoto, cercando libertà di azione a livello locale

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