Dopo sei anni e mezzo di guerra, i nemici di Assad fanno marcia indietro. I ribelli, che avevano il sostegno combinato di Stati Uniti, Regno Unito, Turchia, Arabia Saudita e Qatar, non sono riusciti a rimuoverlo dal potere. È chiaro che non se ne andrà. Washington ha smesso di chiedere il cambiamento di regime, gli Inglesi hanno avviato contatti diplomatici e gli Europei mandano in missione esplorativa a Damasco gli ambasciatori che avevano ritirato nel 2012. L’Egitto, prima nemico, ora sostiene il governo siriano. L’Iraq, alleato degli USA nella guerra contro lo Stato Islamico, in Siria ha inviato aiuti militari ad Assad. L’Arabia Saudita e la Turchia, grandi finanziatrici dei gruppi ribelli jihadisti in Siria, non hanno ancora fatto il gran voltafaccia, ma si sono avvicinati alla Russia, alleata di Assad.
Ovunque a Damasco si vede che la guerra è terminata. È tornata l’elettricità giorno e notte, le scuole sono aperte, gli sfollati non vivono più nei parchi e il traffico è incessante. Nuovi nightclub stanno aprendo e i giovani si riversano nei cinema e nei ristoranti.
Il 60% del territorio e l’85% della popolazione del paese sono sotto controllo governativo. Il resto della nazione è diviso. Alcuni ribelli sono ancora trincerati a est di Damasco. I Curdi del nord-est lasciano che le istituzioni civili del governo funzionino. Fazioni ribelli spesso si combattono fra loro. Alcune esercitano attività criminali che gli inimicano le popolazioni locali.
“I ribelli non sono riusciti a distruggere il regime”, spiega un esperto di sicurezza siriano. “Questo avrà conseguenze: non possono andare a casa, né possono stare qui. Cosa fai quando la spazzatura comincia a puzzare? La bruci”. Per questo è convinto che i Turchi elimineranno i gruppi jihadisti che hanno sino ad ora sostenuto, piuttosto di permetter loro di lasciare la Siria e continuare la guerra altrove.
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