Ora che lo Stato Islamico è sconfitto, il filo-iraniano Assad ha ripreso il controllo di larga parte della Siria, il governo iracheno filo-iraniano ha ripreso il controllo dell’Iraq, l’Arabia Saudita, leader di fatto della resistenza degli arabi sunniti all’Iran sciita, è costretta a prender nota del fallimento della propria politica e a cambiar fase nelle proprie relazioni internazionali. L’inevitabile svolta politica è iniziata col cambio della guardia all’interno, dove i poteri di governo sono stati trasferiti al giovane principe Mohammed bin Salman, che sta operando una serie di cambiamenti: in ottobre le linee aeree saudite hanno operato il primo volo commerciale per Bagdad dopo 27 anni, un ministro saudita ha visitato Raqqa appena liberata dall’ISIS per valutare come ricostruirla e renderla economicamente vitale con investimenti congiunti sauditi e americani, mentre il vecchio re Salman incontrava personalmente prima Putin (prima visita ufficiale di un monarca saudita in Russia nella storia), poi il primo ministro iracheno al-Abadi.
Importante è la dichiarazione del Principe che l’Arabia vuole promuovere un tipo di islam moderato e aperto al mondo. Non si tratta di parole a vuoto: l’apertura a un maggior ruolo delle donne nella società saudita sta procedendo per decreti reali. Ai Sauditi appare ormai ovvio che continuare a usare come strumento di potere la predicazione di un tipo di islam austero e chiuso a ogni innovazione sociale e politica non funziona, perché su questo terreno i Sauditi sono stati scavalcati, in campo sunnita, prima da al-Qaeda e poi dallo Stato Islamico. La bandiera dell’islam delle origini va abbandonata, perché è stata imbracciata da troppe altre formazioni, che sono chiaramente perdenti. La bandiera dell’Islam delle origini era stata abbracciata dai Sauditi in reazione al parallelo islamismo fondamentalista sciita che nel 1979 prese il potere in Iran. Il fondamentalismo propugnato dai Sauditi fu lo specchio sunnita del fondamentalismo vincente in Iran, nella sua variante sciita. Ma oggi è chiaro che le insurrezioni jihadiste sunnite in Iraq e in Siria sono fallite, hanno causato soltanto rovine. Così il temuto e odiato Iran, che ha combattuto il jihadismo sunnita sia in Iraq sia in Siria con i propri uomini, ha esteso la propria egemonia fino al Mediterraneo, e pare agire in piena sintonia politica con la Russia. Per i Sauditi non poteva andar peggio.
I Sauditi stanno probabilmente raggiungendo la piena consapevolezza che il loro potere dipende in larga parte dagli USA: è la protezione militare e diplomatica americana a far apparire l’Arabia Saudita forte. In realtà l’Arabia è un paese che dipende interamente dal mercato globale del petrolio, da tecnologie d’importazione e dall’arruolamento di soldati mercenari stranieri, perché non ha abbastanza popolazione per creare un esercito forte. Un dato riassume l’attuale debole posizione dei Sauditi: nei mesi di settembre e ottobre 2017 il governo filo-iraniano dell’Iraq ha venduto più petrolio dei Sauditi persino in USA! I Sauditi hanno anche ‘perso la faccia’ per il fallimento delle sanzioni imposte al Qatar nel 2017, senza il consenso degli USA: il Qatar non ne ha affatto patito, i suoi rapporti con il resto del mondo sono continuati come sempre.
Chi prenderà la bandiera degli arabi sunniti ora in Medio Oriente? Chi si presenterà come il difensore dei loro diritti economici e politici nei confronti dei governi arabi filo-iraniani? Proverà a farlo la Turchia?
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