Il principe ereditario Mohammed bin Salman sta operando, con l’avallo del re suo padre, non soltanto una serie di riforme, ma anche una campagna di arresti e destituzioni dell’élite, che precludono a un cambiamento d’indirizzo politico e mettono con le spalle al muro gli oppositori in pectore o dichiarati, rafforzando il potere del Principe.
Il fondatore dell’Arabia saudita re Abdulaziz ebbe 36 figli maschi, 36 discendenze ereditarie! La storia del regno è sempre stata una storia di intrighi e di alleanze famigliari e di spartizione dei ruoli di influenza politica ed economica. Certi posti di comando sono sempre stati riservati di padre in figlio soltanto a certi rami della famiglia. Il principe Sultan bin Abdulaziz, ad esempio, fu Ministro della Difesa per quasi 50 anni, poi in quel ruolo gli succedette il fratello. L’ex re Abdullah trasmise la carica di capo della Guardia Nazionale a un figlio.
Nell’insieme questo sistema di spartizione ha funzionato, ha mantenuto lo status quo senza conflitti. Qualunque cambiamento ha sempre avuto il consenso unanime degli anziani della famiglia reale prima dell’implementazione, oppure è stato accantonato. Ma ora la generazione dei nipoti del fondatore morde il freno e il Re Salman, salito al trono nel 2005, ha intrapreso un processo di ristrutturazione della gestione del potere, d’accordo con il giovane e ambizioso principe ereditario.
La prima mossa del re fu nominare il figlio Mohammed Ministro della Difesa. Poi Mohammed divenne il promotore e il simbolo di Vision 2030, il futuristico programma di rinnovamento economico e tecnologico del paese, e in quanto tale fu messo a capo di vari consigli economici, il più importante dei quali è il Consiglio supremo della Saudi Arabian Oil Company. Nella primavera di quest’anno il re nominò a sorpresa il figlio ‘principe ereditario’, ruolo che secondo le vecchie logiche spartitorie spettava al cugino principe Mohammed bin Nayef, Ministro dell’Interno e capo dei servizi di sicurezza interni. Pochi mesi dopo il re creò un nuovo Direttorato dei servizi di intelligence che supervisiona tutti i servizi di intelligence interni e interni sotto il suo controllo personale. Poi destituì anche il principe Miteb bin Abdullah dall’incarico di capo della Guardia Nazionale, per terminare il processo di epurazione ai massimi livelli di stato.
Ora è partita la campagna anticorruzione contro l’élite economica.
L’Arabia Saudita deve affrontare una situazione economica e geopolitica complessa, in rapido cambiamento, pericolosa. Anche per questo occorre una capacità di decisione e di implementazione più rapida di quanto permesso dal vecchio sistema.
Il primo problema di fondo è il basso livello dei prezzi del petrolio, che presumibilmente rimarrà costantemente sui livelli attuali. L’Arabia Saudita deve diversificare la sua economia, sperimentare nuovi modelli di sviluppo che richiederanno grandi investimenti ma anche molta forza lavoro di ogni tipo. Qui appare chiara la necessità di inserire le donne nel mondo economico, con conseguente visibilità sociale e politica delle donne. Questo susciterà forte opposizione in alcuni settori della società saudita, che il re deve poter soffocare.
C’è poi la necessità di contrastare il terrorismo jihadista e soprattutto l’espansione del potere dell’Iran, che arma i ribelli in Yemen e Bahrein, sostiene militarmente e politicamente il governo dell’Iraq, Assad in Siria e gli Hezbollah in Libano.
La manovra di re Salman e del figlio Muhammad bin Salman è rischiosa, ma il governo della società saudita non può continuare come prima, perché il re non ha più tante rendite dal petrolio da poter comperare la fedeltà o l’acquiescenza di tutti. Occorre un nuovo tipo di contratto sociale fra la monarchia e i sudditi. Per porre le condizioni di questo nuovo contratto il re ha iniziato proprio con una campagna contro quella ‘corruzione’, o uso privato di denaro pubblico, che è stata regola di governo per decenni. Centinaia di persone ricche e potenti si ritrovano ora all’improvviso sotto accusa, imprigionate e destituite. Manovra molto rischiosa, che può provocare reazioni feroci sia fra i religiosi sia a corte.
Gli arresti dell’élite sono stati effettuati il sabato sera, il giorno dopo un missile degli Houthi (i ribelli sciiti dello Yemen, sostenuti dall’Iran) hanno lanciato un missile sull’aeroporto di Riyadh, intercettato dal sistema di difesa. Non era mai successo che i ribelli riuscissero a lanciare un attacco sulla capitale saudita, perciò la notizia ha destato grandi preoccupazioni. Poche ore più tardi un altro colpo di scena: il primo ministro libanese Hariri si è rifugiato in Arabia Saudita, sostenendo di aver saputo dell’esistenza di un piano per assassinarlo. L’assassinio di Hariri potrebbe essere stato organizzato proprio dall’Iran tramite le truppe di Hezbollah in Libano, che sono alleate di Assad in Siria e dell’Iran, ma non si hanno informazioni chiare. Il padre dello stesso Hariri fu ucciso in Libano nel 2005, pare su ordine di Assad di Siria.
La situazione in Arabia Saudita rischia di sfociare in una guerra civile se la manovra del re e del principe ereditario non funziona. La situazione dell’intero Medio Oriente è ben lontana dall’essere stabilizzata.
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