Il 13 novembre 2017 i ministri della difesa di 23 stati dell’Unione Europea hanno firmato un patto di difesa comune, chiamato PESCO (Permanent Structured Cooperation on Defense Agreement). PESCO dovrebbe portare i 23 paesi verso l’unione dei sistemi di difesa e di intelligence nazionali.
Unire i sistemi di difesa permetterebbe di evitare doppioni, razionalizzando la spesa, e diminuire la dipendenza dalla NATO dell’Europa. La firma dell’accordo è anche una dimostrazione di coesione in un momento in cui la credibilità dell’Unione è messa a dura prova da Brexit e dalle tante divergenze di interesse fra i paesi membri.
La maggior parte dei paesi europei spende molto meno del 2% del budget nazionale per la sicurezza, che è il target minimo posto dalla NATO. Unire le forze e pianificare la spesa con una visione d’insieme può produrre risultati migliori anche senza incrementare la spesa.
Però PESCO non prevede un comando unificato, né un centro unificato di programmazione − il che significa che il suo funzionamento unitario è tutt’altro che certo. Gli stati nazionali non hanno voluto cedere la prerogativa di controllo sull’esercito e sulla difesa, che è l’elemento chiave della sovranità.
Lo scorso giugno l’Unione Europea aveva già annunciato la creazione di un Fondo Europeo di Difesa in aggiunta alla spesa di ogni singolo stato. A partire dal 2020 il Fondo stanzierà 500 milioni di euro annui per la ricerca finalizzata alla difesa e un miliardo di euro l’anno per lo sviluppo e l’acquisto congiunto di attrezzature per la difesa. Il prossimo passo sarà discutere e approvare congiuntamente i progetti da sviluppare e finanziare.
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