L’8 gennaio, a un anno dalla morte dell’ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, l’attuale presidente Hassan Rouhani ha chiesto la revisione delle indagini sulla sua morte, insinuando che non si trattò di morte naturale.
L’avvenimento è indicativo delle lotte intestine nel regime, peggiorate negli ultimi dieci anni e accentuate dalle attuali rivolte. Gli oppositori di Rouhani hanno approfittato dei disordini per indebolirlo, la sua fazione usa la morte di Rafsanjani come contromossa. La classe dirigente iraniana sta perdendo coesione. Serie fratture sono emerse fra i conservatori stessi durante la presidenza di Ahmadinejad (2005-13). Il regime non può mantenere la stabilità del paese senza sostanziali riforme politiche ed economiche, deve evolvere per continuare a esistere.
Le recenti proteste hanno denunciato l’incapacità dello stato di provvedere ai bisogni di una popolazione in crescita e sempre più giovane. I dimostranti rimproverano al regime anche l’eccessiva spesa per estendere l’egemonia iraniana nella regione, a scapito del benessere degli Iraniani. La frammentazione di interessi, la lotta tra i repubblicani e la componente teocratica del regime e il potere sproporzionato esercitato dal Corpo delle Guardia Islamiche Rivoluzionarie complicano ancora di più la situazione.
La vera minaccia alla Repubblica Islamica non arriva dalle proteste, ma dal dissenso all’interno del regime su come governare il paese. Le dimostrazioni in atto non sono di per sé tali da rovesciare il regime. Il sistema repressivo iraniano è in grado di soffocare proteste ben più ampie. Sono le crepe all’interno dell’establishment stesso che potrebbero minarne la solidità, spingendo una parte del sistema repressivo a sostenere i manifestanti.
Il regime iraniano è peculiare perché ha istituzioni molto complesse e sempre doppie, così come doppia è la sua base di legittimità. L’Iran è una teocrazia, perché tutti poteri e tutte le leggi sono sottoposte al controllo della Guida Suprema, che è eletta dai giureconsulti islamici sciiti. Ma è anche una democrazia elettiva vera, non formale, in cui c’è un effettivo gioco di interessi economici e sociali diversi. I due sistemi e i due principi di legittimità sono stati tenuti in equilibrio dall’autorità morale e politica dei grandi ayatollah che animarono la rivoluzione del 1979, gestirono il potere e crearono le istituzioni attuali. Ma dopo la morte dell’ultimo dei tre ayatollah fondatori, l’attuale Guida Suprema Khamenei, è probabile che le rivalità interne esploderanno, a meno che non intervenga rapidamente una riforma che unifichi le istituzioni e il principio che le legittima.
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