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I paesi dell’Asia hanno una lunga storia di integrazione nell’impero zarista e poi in URSS e hanno ancora stretti legami con la Russia. Mosca finanzia progetti umanitari e di sviluppo, mantiene una forte presenza militare con basi in Kazakistan, Tajikistan e Kirghizistan e resta tra i principali partner commerciali di ognuno dei paesi dell’area. Eppure la sua influenza è in declino, sia per cause interne − prima fra tutte un’economia sempre più instabile – sia per la evidente difficoltà a mantenere zone cuscinetto ai confini, gestire i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Mosca non riesce più a intervenire come in passato nelle dispute tra i paesi dell’Asia Centrale, che sono così indotti a stringere nuovi rapporti.
I paesi dell’Asia Centrale si possono dividere in due categorie: quelli che hanno risorse d’acqua – Tagikistan e Kirghizistan − e quelli che hanno risorse energetiche – Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Questo fa sì che i loro interessi siano complementari, creando buoni presupposti per la cooperazione. Tagikistan e Uzbekistan sono due ottimi esempi: il primo è il nono paese al mondo per riserve d’acqua, ma più della metà dei suoi abitanti non ha abbastanza energia, specie in inverno; l’Uzbekistan, al contrario, è ricco di gas, ma ha carenza di acqua.
La cooperazione sembra la soluzione più ovvia e ragionevole, ma non è semplice cooperare dopo decenni di contrasti. I motivi di risentimento non mancano: dopo la caduta dell’URSS l’Uzbekistan (con l’appoggio della Russia) prese parte alla guerra civile tagika, vi furono dispute sui confini e sulla distribuzione delle risorse, l’Uzbekistan introdusse un regime di visti per i Tagiki, dipinti come un popolo di trafficanti di droga e di estremisti religiosi… Nell’ottica del divide et impera, Mosca incoraggiò le ostilità anziché placarle. Ora però sembra che entrambi i governi comprendano le potenzialità della cooperazione e stanno cominciando a collaborare: hanno appena risolto una vecchia disputa sulla diga e l’impianto idroelettrico di Farhad, stabilendo che il territorio sul quale sorge la centrale è tagiko, mentre l’impianto è proprietà dell’Uzbekistan. Il governo di Tashkent si è detto disposto a riprendere le forniture di gas, valutare l’abolizione del regime dei visti e riaprire trasporti e comunicazioni.
Per quanto sia importante che questi paesi ristabiliscano le relazioni tra di loro, il problema principale della regione resta la necessità cronica di investimenti stranieri. In questo senso gli sforzi russi sono già al limite, ma stanno intervenendo altre potenze quali Cina, Stati Uniti, India e Unione Europea. L’influenza cinese è diventata considerevole: ormai la Cina è il principale paese di origine per le importazioni di Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan e nel 2016 ha coperto il 50% degli investimenti stranieri in Tagikistan, a fronte del 30% della Russia. La Russia ha ancora vantaggi sui concorrenti per ragioni militari e storiche, ma è innegabile che la sua influenza sulla regione si sta riducendo.
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