Anche se i giornali e le televisioni parlano di forze di Assad contro forze turche, non è esattamente così. A combattere contro i Turchi ad Afrin non è l’esercito di Assad, ma sono gruppi guerriglieri irregolari, privati, composti sia di Siriani sia di persone di altra origine, i quali combattono a sostegno di Assad e dei suoi alleati (Iran, Russia). A difendere Afrin dai Turchi sono anche i guerriglieri curdi dello YPG, al servizio dell’autoproclamato 'governo' curdo del Rojava (cioè della regione curda della Siria), che ha aperto trattative sia con Assad sia con il governo iraniano per cercar di fermare l’invasione turca. Le trattative non sono affatto concluse, né avranno mai conclusioni formali, che equivarrebbero al riconoscimento della legittimità dello YPG a rappresentare i Curdi di Afrin, cosa che né Assad né gli stati che lo sostengono intendono fare. Ma nel frattempo gruppi di guerriglieri 'privati' filo-Assad e filo-Iran sono entrati ad Afrin.
Come in tutte le guerre civili del Medio Oriente (e non solo) gli stati e i loro eserciti regolari stanno più o meno alla finestra, ma armano, addestrano e fanno combattere milizie volontarie che non hanno né regole né gerarchie responsabili agli occhi del mondo: bande senza legge e talora anche voltagabbana. Poi queste milizie potranno essere utilizzate su altri fronti, oppure abbandonate alla loro sorte. Sorte che in rari casi comporta l’inserimento nell’esercito regolare, più spesso significa esser bollati come 'terroristi' e combattuti dall’esercito regolare di quello stesso stato che li ha armati e usati. Anche questo è un modo di utilizzare l’eccesso di giovani forti, disoccupati e arrabbiati di cui molte regioni del mondo dispongono.
Entrando con il proprio esercito in Afrin, la Turchia ha mosso guerra alla Siria senza dichiararla, perché formalmente va a debellare i terroristi, non l’esercito siriano. Siria e Iran rispondono mandando altre bande di miliziani terroristi, di cui ufficialmente non appaiono responsabili, mentre a livello diplomatico mantengono aperto il dialogo con gli altri stati per la pacificazione della regione. Così salvano la faccia a livello internazionale, ma non ingannano certo le popolazioni travolte dalla guerra per bande.
È ovvio che uno stato che, anziché proteggere la propria popolazione e impedire le guerre civili, difende il potere di un gruppo alimentando la guerriglia per bande, perde legittimità e prima o poi deve essere sostituito. Ma Assad e i suoi sostenitori vogliono arrivare alle trattative da un posizione di forza sul terreno − quando non rimarrà nulla su cui trattare davvero, se non gli aiuti per la ricostruzione e gli schieramenti internazionali.
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