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Dopo le cosiddette ‘primavere arabe’ i paesi arabi del Medio Oriente hanno vissuto anni di instabilità politica e di declino economico, se non di guerra civile. L’Iran invece ha migliorato molto la sua posizione regionale.
In Yemen l’Iran ha appoggiato gli Houthi nella guerra civile, che ha richiesto anche le risorse e l’attenzione dell’Arabia Saudita, distogliendole dall’Iraq e dalla Siria.
In Siria l’Iran ha sostenuto il regime di Assad, e questo l’ha portata a ritrovarsi nello stesso schieramento della Russia, vittorioso (per ora) nei confronti della Turchia e persino degli USA. Bel colpo per un paese che fino a due anni fa era isolato dalla comunità internazionale!
In Libano l’Iraq esercita un potere preponderante grazie a Hezbollah, una delle sue prime ‘legioni straniere’. Tutti questi successi sul terreno possono essere consolidati soltanto se l’Iran controlla il governo e il territorio dell’Iraq. Questo l’Iran per ora riesce a farlo non con il proprio esercito regolare, ma tramite le legioni straniere, per lo più composte di sciiti, che l’Iran dirige, addestra e arma. Le legioni straniere al soldo dell’Iran in Iraq, Siria, Libano e Yemen contano circa 200.000 uomini. La più importante è rappresentata dalle ‘Forze di Mobilitazione Popolare’ che controllano tutto il nord dell’Iraq, trasformandolo in un corridoio che collega direttamente l’Iran alla Siria e al Libano (mappa a lato).
Mentre in Siria l’Iran sposa in pieno la causa di Assad contro tutti gli altri gruppi, in Iraq deve essere più prudente e condurre una politica più variegata, perché il nord dell’Iraq è abitato da Curdi e da Arabi sunniti, che non sono abitualmente solidali fra loro, ma potrebbero diventarlo e coalizzarsi contro l’Iran se diventasse apertamente ostile.
L’obiettivo dell’Iran è avere il controllo delle istituzioni dell’Iraq tramite la popolazione arabo-sciita di maggioranza, per mantenerlo in una situazione di debolezza e di dipendenza tale da non costituire un pericolo né come concorrente sui mercati né come possibile oppositore sul terreno. L’Iran però – così come il governo iracheno che controlla − non può mostrarsi tanto ostile ai sunniti e ai Curdi da spingerli alla ribellione aperta.
Le Forze di Mobilitazione Popolare cominciarono a combattere contro l’ISIS attorno a Mosul nel 2014. Erano state fondate l’anno prima, ma iniziarono a raccogliersi e combattere davvero dopo la fatwa dell’ayatollah al-Sistani che chiamava a raccolta i fedeli contro Daesh. Subito dopo il premier iracheno al Maliki firmava l’autorizzazione a usare le finanze dello stato iracheno per pagare le Forze di Mobilitazione Popolare, per lo più addestrate e guidate da gruppi di Iraniani. Alcuni dei comandanti delle Forze di Mobilitazione Popolare oggi fanno parte del governo dell’Iraq e siedono nel Consiglio che decide la destinazione delle finanze dello stato iracheno. Le Forze di Mobilitazione Popolare sono composte di 67 gruppi con 67 diverse catene di comando. 40 su 67 sono direttamente controllate dall’Iran (dati del Washington Institute for Near East Studies). L’insieme dei 67 gruppi conta da 100.000 a 140.000 uomini, di cui circa 30.000 sono sunniti, yazidi, curdi o turcomanni, gli altri sono sciiti arabi, seguaci di tre diversi ayatollah: una parte segue l’ayatollah al-Sistani (iracheno), una parte l’ayatollah Muqtada al-Sadr (iracheno), una parte direttamente il grande ayatollah Khamenei (iraniano). Quelle che fanno capo all’ayatollah Khamenei combattono soltanto ed esclusivamente per l’Iran, rispondono gerarchicamente alle Guardie Rivoluzionarie iraniane, vorrebbero l’unione dell’Iran e dell’Iraq in un unico stato, o in una confederazione di stati. Gli altri gruppi sono più legati agli interessi della popolazione irachena. I gruppi direttamente fedeli all’Iran, pronti a combattere anche contro il governo iracheno in caso di divergenza di interessi, sono l’Organizzazione Badr (che esiste fin dagli anni ’80), Asaib Ahl al-Haq, Kataib Hezbollah, Harakat al-Nujaba.
L’obiettivo dell’Iran è mettere suoi fedelissimi all’interno delle istituzioni irachene. Abu Mahdi al-Muhandis, che iniziò la sua carriera nelle Guardie Rivoluzionarie Iraniane nel 1983, oggi è il capo della Commissione irachena per le Forze di Mobilitazione Popolare. Lo stesso Ministro degli Interni iracheno è un veterano dell’Organizzazione Badr. Hadi al-Amiri, attuale capo della stessa organizzazione, è anche membro del parlamento iracheno.
La Costituzione irachena del 2005 all’art 1, paragrafo B, recita: “È illegale la creazione di corpi militari al di fuori della struttura dell’esercito”. Ma nel 2014 fu proprio il presidente al Maliki a creare la Commissione per le Forze di Mobilitazione Popolare, indipendente dell’esercito, senza che la magistratura o l’esercito si opponessero. Nel 2016 e nel 2017 lo stato iracheno ha destinato rispettivamente 1,6 e 2 miliardi di dollari l’anno alla Commissione per le Forze di Mobilitazione Popolare, pari all’1,9% del bilancio totale dello stato.
L’attuale primo ministro al Abadi sta ora cercando di diminuire l’influenza dell’Iran sulla Commissione, ma i cambiamenti sono più formali che reali.
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