L’Unione Europea sta perdendo colpo su colpo ed è a rischio di sfasciarsi, come scrive Mathew Kaminski su ‘Politico’ del 29 maggio 2018, proprio mentre gli USA reagiscono aggressivamente ai danni prodotti dalla globalizzazione alla coesione sociale. Come interagiranno fra di loro questi eventi?
Il processo di globalizzazione – che è inevitabile e sarà positivo a lungo termine − negli anni ’90 e nei primi anni del 2000 è stato grandemente accelerato da decisioni politiche multilaterali: la creazione del WTO, dell’Unione Europea e dell’Eurozona, ma soprattutto la totale liberalizzazione dei mercati finanziari occidentali. L’insieme di queste liberalizzazioni velocissime e poco ponderate ha provocato rapidi contraccolpi nelle economie globali, favorendone eccessivamente alcune a scapito di altre. L’Italia ad esempio, è stata molto più colpita dalla competizione della manodopera cinese di altre economie europee, perché era ricca di piccole e medie industrie di trasformazione, ad alta intensità di mano d’opera.
Un po’ ovunque l’accelerazione eccessiva della globalizzazione ha favorito e arricchito le élite intellettuali e tecnologiche e le istituzioni finanziarie, mentre ricacciava verso il basso le classi medie e medio-povere del mondo occidentale. Gli elettori del mondo occidentale hanno reagito e stanno reagendo, perciò i governi non potranno far altro che ripensare le forme e i tempi della globalizzazione.
Ma mentre gli USA o altri paesi debbono soltanto rivedere le proprie politiche, l’Europa deve anche ripensare se stessa per sopravvivere, perché il rischio di crollo è evidente. Sarà l’occasione per porre le basi di un’unione politica dei paesi europei, o sarà soltanto il disfacimento dell’Unione?
Brexit diede il primo scossone all’UE nel 2016. I 27 paesi dell’Unione si unirono in un unico blocco contro la Gran Bretagna nei colloqui per la Brexit. A Bruxelles, Roma e Bratislava si elaborarono piani per riavviare l’Europa. L’elezione di Macron in Francia fece sperare Bruxelles che lo choc per la Brexit e Trump avessero riportato gli elettori alla ragione.
Le elezioni tedesche suonarono un altro campanello di allarme. Angela Merkel, capo dell’establishment europeo, mantenne il potere, ma per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale un partito di estrema destra, Alternativa per la Germania, conquistò seggi al parlamento tedesco. Seguirono vittorie più chiaramente anti-Merkel in Austria, Repubblica Ceca e Ungheria. Ora la vittoria dei partiti italiani contrari alle attuali politiche europee toglie ogni possibilità che l’Europa possa proseguire sulla stessa strada senza sfasciarsi, anche perché non ci sono élite politiche alternative favorevoli a mantenere lo status quo. Perfino in Francia, le alternative a Macron non sono i socialisti o i repubblicani, ma sono Marine Le Pen all’estrema destra e Jean-Luc Mélenchon all’estrema sinistra.
Questi avvicendamenti politici manderanno onde d’urto la cui forza è difficile da immaginare. La minaccia esistenziale per l’Europa è di nuovo sul tavolo. I problemi transatlantici hanno aggiunto un altro pesante fardello al crescente senso di paura di Bruxelles. Donald Trump si sta rivelando un nemico più serio di quanto si aspettassero le istituzioni europee. Ha annullato l’accordo di Parigi sul clima e l’accordo nucleare con l’Iran, entrambi orgoglio della diplomazia dell’UE, e sta anche mostrando seriamente i muscoli sul commercio. Non solo l’Unione Europea può fare poco contro tutto ciò, ma non può più nascondere a se stessa la penosa realtà della propria debolezza: l’Europa dipende dagli USA per la sicurezza e i commerci.
Perciò armiamoci di buona volontà a ripensiamo l’Europa: non possiamo più farne a meno.
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