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L’attuale guerra civile nello Yemen, iniziata nel 2015, non è che l’ennesima ripresa della lunghissima serie di scontri fra etnie e tribù, sempre sostenuti da diverse potenze regionali e internazionali, iniziata alla fine della Seconda guerra mondiale.
Ad aprile 2015 venne bombardata la centrale elettrica di Sanaa, la capitale, che cessò di funzionare. Dopo poco sparì dal mercato anche il gasolio con cui si cercava di fornir energia agli impianti essenziali alla vita civile. Cessò di funzionare anche l’impianto di depurazione delle acque dell’acquedotto.
Nei primi mesi del 2016 la città di Sanaa, che aveva circa 500000 abitanti, dovette accogliere circa un milione di profughi che scappavano da altre aree, soprattutto dalla regione costiera del Mar Rosso, la più contesa. Le strutture igieniche e sanitarie furono messe a dura prova dal triplicarsi della popolazione in pochi mesi. Ad agosto-settembre si verificarono i primi casi di colera.
Nella regione costiera si scavarono miglia e miglia di trincee. Gli scavi e i bombardamenti spaccarono le tubature delle fogne, i liquami fuoriuscirono e penetrarono nel terreno. Durante la stagione delle piogge i liquami inquinati vennero diffusi nelle falde acquifere, raggiunsero i pozzi e anche le fonti usate per alimentare l’acquedotto. Si mangiarono ortaggi irrigati con acque inquinate. Si bevve acqua inquinata. Su di una popolazione totale di 27,5 milioni di abitanti, 18 milioni furono esposti al rischio di contagio. Nell’arco di un anno più di un milione di persone si ammalò di colera, più di 2000 morirono, di cui circa la metà erano bambini.
Intanto, la guerra continua.
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