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La caratteristica distintiva della Russia è la mancanza totale di protezioni naturali attorno al cuore del suo territorio, che è la regione di Mosca. La Russia che non ha né fiumi né mari, né paludi né montagne che proteggano la sua capitale economica, demografica, politica e culturale. Per la difesa può contare esclusivamente sul clima inospitale e sulle foreste. Perciò la storia della Russia è una cronaca continua di agonia e di sopravvivenza a invasione dopo invasione. Le invasioni storiche sono avvenute da due direzioni:
- dalle steppe, le praterie che collegano la Russia all’Asia Centrale. È il percorso usato dagli Unni e dai Mongoli;
- dalla grande pianura del Nord Europa, da cui sono provenute le invasioni dei Cavalieri Teutonici, di Napoleone e della Germania nazista.
Per far fronte a questa vulnerabilità, la Russia si è attrezzata in tre fasi. Dapprima si è espansa in direzioni che potessero offrire una via di fuga e di difesa su terreni imprendibili da parte del nemico. Verso la fine del XV secolo la Russia di Ivan III si insinuò a ovest, attestandosi sulle paludi di Pripet che separavano la Russia dalla regione di Kiev, quindi si espanse a nord, nell’Artico e negli Urali. Solo una minima parte di questo territorio poteva essere utile, perché era taiga o tundra poco popolata, ma per la Russia era l’unica terra occupabile per tener lontani dalle loro terre i Mongoli, che avevano distrutto la Russia di Kiev nel XIII secolo. I Mongoli dominavano le praterie con le loro veloci forze di cavalleria, ma entrando nelle foreste rallentavano, si disperdevano e avevano difficoltà di orientamento. I Russi li costrinsero a entrare nelle foreste, dove la fanteria russa si trovava in vantaggio.
La seconda fase di espansione fu molto più aggressiva e rischiosa. Verso la metà del XVI secolo, sotto Ivan IV, la Russia si mosse per respingere i Mongoli verso est e verso sud, raggiungendo gli Urali a est, il Mar Caspio e il Caucaso a sud. Conquistò così posizioni strategicamente cruciali, tra cui Astrakhan sul Caspio, la terra dei Tatari e Grozny, che divenne un avamposto militare ai piedi del Caucaso. Ivan IV diventò così Zar di tutte le Russie, dando avvio all’Impero e raggiungendo confini difendibili. Controllare le pendici settentrionali del Caucaso avrebbe fornito una ragionevole difesa dall’Asia Minore e dalla Persia, mentre i milioni di chilometri quadrati costituivano grandi zone cuscinetto. Queste però possono rallentare un’invasione, non arrestarla. Così come le paludi di Pripet possono essere accerchiate. Ma finché la Russia controlla gli stati cuscinetto può bloccare possibili invasori sul territorio altrui, con una guerra di logoramento e di attacco alle linee di rifornimento dei nemici.
Essere circondati da paesi cuscinetto significa anche essere circondati da popolazioni che non sono affatto contente di servire da scudo al popolo egemone. Mantenere il controllo di queste popolazioni perché non si ribellino richiede non solo un considerevole esercito permanente, ma anche un’enorme rete interna di sicurezza e di intelligence. E poiché quanto più numerose e importanti sono le istituzioni di fondamentale importanza tanto più debbono essere controllate, il controllo del governo centrale sulle reti di difesa, di sicurezza interna e di intelligence deve essere gestito con pugno di ferro. Così la necessità di protezione del territorio rende la Russia aggressiva nei confronti dei vicini e prona a condurre purghe interne, usando il terrore contro le sue stesse istituzioni, pur di mantenere l’impero.
La terza fase di espansione fu verso ovest. Nel XVIII secolo, sotto Pietro e Caterina la Grande, i Russi conquistarono l’Ucraina e si spinsero fino ai Carpazi, incorporarono i territori baltici e spostarono il confine di nordovest sul Mar Baltico. Ciò nonostante la Russia non ha raggiunto confini realmente difendibili, ma ha piuttosto trasformato alcuni nemici esterni, come i Cosacchi e i Baltici, in pericoli interni. Un piccolo stato come la Svezia, ad esempio, può allearsi con le popolazioni baltiche e sbarcare in Russia.
La Russia si è espansa tanto (è lo stato con la maggiore estensione territoriale al mondo) che tenere insieme l’impero è diventato, socialmente e militarmente, una sfida monumentale. Oggi i Russi sono a malapena la maggioranza della popolazione del paese. Tutto ciò per ottenere una parvenza di sicurezza allargando sempre più le zone cuscinetto.
La geografia dell’Impero russo ha lasciato in eredità un territorio poco stabilizzato. Vaste aree della Russia sono ancora disabitate o hanno soltanto poche piccole città. La parte europea della Russia è la più densamente popolata, ma con popolazione mista, perché nella sua espansione la Russia ha insediato coloni russi nelle regioni cuscinetto e ha assimilato grandi minoranze etniche al proprio interno.
Il risultato è uno scontro costante e profondamente radicato all’interno, determinato principalmente dalle dimensioni del territorio e dalle difficoltà di trasporto. Mosca è molto a nord, alla stessa latitudine di Terranova, i granai russi e ucraini, poco più a sud, hanno una stagione di crescita dei raccolti estremamente breve. Il clima limita sia la produttività dei terreni agricoli, sia l’efficienza dei trasporti. È difficile e costoso trasportare i raccolti dai campi alle città, dove vive la maggior parte della popolazione, e lo è ancora di più trasportarli nelle aree lontane e sparsamente abitate dell’interno. Questo è il problema alla radice dell’economia russa.
La distribuzione della popolazione crea anche un problema politico. La popolazione tende a distribuirsi in piccole città nelle aree di coltivazione a sud e ovest, che però sono abitate da popoli conquistati, che non vedono di buon occhio il fatto di dover lavorare tanto per mandare la produzione alla lontana Mosca e alle altre città dell’interno. I leader russi hanno sempre scelto di imporre ai produttori agricoli del sud-ovest l’obbligo di fornire a prezzi prefissati grandi quantità di alimenti a Mosca e alle lontane città industrializzate, usando anche politiche spietate, come fece Stalin nel 1932-33, quando fece portar via dall’esercito l’intero raccolto dell’Ucraina, lasciando morire per fame 8 milioni di contadini ucraini colpevoli di non aver prodotto abbastanza, piuttosto di lasciar senza alimenti le città. Gli Ucraini lo chiamano Holomodor e lo considerano un vero e proprio tentativo di genocidio.
Se la Russia non ha un governo e un sistema economico centralizzato rischia di andare in pezzi, lacerata da movimenti nazionalisti, insurrezioni contadine e fame urbana. Deve avere una burocrazia centralizzata che risponda al dominio autocratico di Mosca e un vasto apparato di sicurezza che costringa il paese e l’impero a rimanere uniti.
La Russia ha dunque due problemi geopolitici fondamentali: tenere unito un paese di enorme estensione in cui i Russi sono relativamente pochi, mantenendo la sicurezza interna, e nel contempo difenderlo da potenziali nemici esterni. Poiché la stragrande maggioranza del territorio russo non è abitata da popolazioni di origine russa, serve il pugno duro per impedire alle molte minoranze di acquisire il controllo della regione o di allearsi alle forze nemiche. Espandersi verso porti di mari caldi per aver sempre accesso agli scambi con il resto del mondo e non dipendere soltanto dalla produzione agricola interna è un’altra necessità fondamentale.
L’espansione occidentale non è stata semplice. Per quanto si estendessero a ovest nella Grande Pianura Europea, i Russi non trovavano un fronte su cui attestarsi stabilmente. L’unica linea di difesa efficace è in Polonia, nel tratto di 400 chilometri fra il Mar Baltico e i Carpazi, perché gli altri tratti di pianura sono tutti molto più ampi, impossibili da difendere. Perciò l’Unione Sovietica proseguì fino al fiume Elba.
Al suo apice l’Unione Sovietica aveva raggiunto tutti gli obiettivi di sicurezza, eccetto l’accesso all’oceano. L’URSS aveva il controllo dei Carpazi, del Mar Nero, del Caucaso, degli Urali e della Siberia, era insediata profondamente in Asia Centrale. E occupava la Polonia e la Germania est, in base al Patto di Varsavia, come si vede nella mappa sotto. Aveva tre regioni frontaliere distinte: la Siberia asiatica, l’Europa orientale e l’insieme di Asia Centrale e Caucaso. Oggi soltanto la Siberia è russa, gli altri sono stati indipendenti.
La Siberia è collegata alla Russia soltanto da una linea ferroviaria. Spostare un esercito attraverso tutta la Siberia per attaccare la Russia da est attraverso gli Urali è impensabile. Né esistono strade nord-sud. Il periodo senza fango e senza ghiaccio dura meno di tre mesi l’anno, il rifornimento via terra di un esercito sarebbe impossibile. Questa è la ragione per cui i Giapponesi scelsero di attaccare gli Stati Uniti piuttosto che l’Unione Sovietica nel 1941.
Il controllo dell’Asia Centrale è necessario ai Russi, perché protetta da una serie di catene montuose e deserti che rendono quasi impossibile il transito di grandi eserciti. Il Mar Caspio, il Caucaso e il Mar Nero proteggono il confine con l’Iran e con la Turchia. La parte perennemente problematica dei confini è sempre quella in direzione dei Balcani e della pianure del nord. Un regione chiave è la Moldavia o Bessarabia, attraverso la quale potrebbero giungere invasioni sia dalla Germania (come avvenne durante la Seconda guerra mondiale) sia dai Balcani (come avvenne in periodo Ottomano). L’altra regione chiave per la sicurezza russa è situata più a nord, tra i Carpazi e il Mar Baltico, dalla città di Elblag a nord-ovest di Varsavia, fino a Cracovia a sud. È il punto più stretto della pianura del Nord Europa, in Polonia, ed era all’incirca la posizione del confine imperiale russo fino alla Prima guerra mondiale. Di qui entrarono in Russia l’esercito napoleonico, l’esercito di Guglielmo II e quello nazista.
La più grande estensione dell’Impero russo si ebbe sotto i sovietici tra 1945 e il 1989. Paradossalmente questa espansione portò al crollo dell’Unione Sovietica per impossibilità di sostenere i costi dell’occupazione e del controllo di tanto territorio.
La Russia oggi si è contratta all’incirca entro i confini dell’Impero russo del primo 1700, perdendo l’Ucraina i Paesi Baltici e i suoi solidi punti d’appoggio nel Caucaso e in Asia Centrale. L’Unione Sovietica era enorme, ma non aveva sbocco libero al mare: né il Mar Baltico né il Mar Nero permettevano all’URSS il trasporto marittimo senza pagare dazi, perché bloccati da stretti in mano a paesi NATO, Danimarca e Turchia. Con un’economia necessariamente chiusa, i costi di controllo e difesa del territorio e dei paesi satelliti alla lunga divennero insostenibili. Le spese militari minarono l’economia dell’URSS, poco produttiva di per sé e priva di possibilità di commercio marittimo con vasta parte del mondo. Per competere nella corsa agli armamenti con paesi molto più ricchi, la Russia deviò risorse dall’economia civile e dal mondo intellettuale. Le migliori menti entrarono nel complesso militare-industriale, facendo sgretolare la struttura amministrativa ed economica della Russia.
Oggi la Russia si è ritirata in Europa su confini che la fanno sentire in grande pericolo: a meno di 100 miglia di pianura da San Pietroburgo e a circa 250 miglia di pianura da Mosca. Oggi nessuno ha intenzione di invadere la Russia, ma dal punto di vista russo la storia è ricca di drammatici cambiamenti, in particolare in Europa. L’impensabile si verifica una o due volte al secolo. Nella sua configurazione attuale, la Russia non può sperare di sopravvivere a eventuali brutte sorprese del XXI secolo. Quando la NATO discute seriamente di stabilire una presenza forte in Ucraina e nel Caucaso (e si è già stabilita nei paesi baltici) i Russi si sentono in una posizione terribile. Come con Napoleone, Guglielmo II e Hitler, l’iniziativa di guerra o di pace è tutta nelle mani di altri. Dal punto di vista russo, la creazione di una sfera di influenza che restituisca alla Russia confini relativamente difendibili è imperativa.
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