Un cinese in visita a Samarcanda nel secolo che precede l’invasione araba scrisse nei suoi appunti la seguente osservazione sulla gioventù del luogo: «Tutti gli abitanti [di Samarcanda] sono allevati per essere mercanti. Quando un bambino raggiunge l’età di cinque anni, cominciano a insegnargli a leggere, e non appena ha imparato, gli fanno studiare come si fanno affari». Un altro viaggiatore cinese, altrettanto sbalordito, osservò che ai giovani dell’Asia Centrale non era permesso partecipare a scambi commerciali con l’estero fino ai vent’anni, dato che prima di quell’età si riteneva che dovessero essere completamente assorbiti dallo studio e dall’addestramento.
Questi osservatori contemporanei ci permettono di cogliere un aspetto molto importante sul mondo perduto dell’Asia Centrale antecedente alla conquista araba: il diffuso elevato livello di alfabetizzazione. A causa della distruzione di massa di libri e documenti effettuata dagli Arabi, oggi dipendiamo specialmente da relazioni di stranieri simili a queste. Come spesso accade, le ricerche archeologiche confermano quanto scritto dai due cinesi.
(….) L’esigenza di una diffusa alfabetizzazione andava ben al di là del mondo dei commerci. Nella maggior parte delle regioni dell’Asia Centrale, infatti, la vita sociale ed economica era regolata da leggi scritte. Fonti cinesi riferiscono che le leggi della Sogdiana preislamica venivano redatte e conservate in uno dei grandi templi. (…) Come ogni società complessa, gli stati dell’Asia Centrale richiedevano leggi sofisticate. Un elemento economicamente importante come l’irrigazione era regolato in termini di diritti di proprietà, espropriazione di terreni per pubblica utilità, compensazione ai proprietari e così via. Il fatto che la poligamia fosse ampiamente praticata molto tempo prima dell’islam doveva senza dubbio complicare le leggi sulla successione, anch’esse scritte. Un piccolo esercito di funzionari registrava scrupolosamente ogni transazione legale. (….) Come facciamo a conoscere tanti particolari di un mondo ormai scomparso? Ebbene, nel 1933 un pastore che si trovava su una delle cime del Tagikistan meridionale scoprì fra le rovine quello che sembrava il coperchio di un vaso e che di fatto chiudeva un grosso contenitore di ceramica sepolto millecinquecento anni prima dall’ultimo sovrano di Panjikent, di nome Devaštic, datosi alla fuga all’avvicinarsi della cavalleria araba. Il vaso sul monte Mug non conteneva oro e argento, ma decine di documenti ufficiali scritti su pergamena. Accuratamente sigillato con cere e resine, aveva conservato intatto il suo contenuto fino a quel giorno del 1933. Leggendo queste antiche controversie in materia di leggi e regolamenti, si capisce subito che la civiltà dell’Asia Centrale prima dell’invasione araba attribuiva grande valore alle competenze tecniche e alla conoscenza in quanto tale. Questo è abbastanza comprensibile, se pensiamo che dipendeva da esse la sopravvivenza stessa delle città nelle oasi. Le attività commerciali, manifatturiere, edili e amministrative possedevano tutte un corpus di conoscenze tecniche. I sistemi di irrigazione, per esempio, rendevano necessarie varie metodologie razionali per calcolare la larghezza e la profondità dei canali, il diametro delle canalizzazioni sotterranee (kereze) e le dimensioni delle chiuse, affinché potessero gestire il volume di acqua che doveva attraversarle. Il rispetto per la conoscenza e la competenza tecnica era naturale in una società che aveva bisogno di sollevare ogni giorno centinaia di tonnellate di acqua fino alle risaie, soddisfare i bisogni domestici o rifornire i bagni pubblici. Solo per queste esigenze i Centroasiatici impiegavano nove diversi tipi di macchinari, tra cui i mulini a vento, inventati da loro o mutuati da altri popoli. (…) I tecnici che avevano la responsabilità di tali dispositivi erano inevitabilmente membri rispettati della società. (…) L’esigenza di preservare le condizioni perché la regione continuasse a esportare merci pregiate rese necessaria una serie di ulteriori competenze. I fabbri dell’Asia Centrale, per esempio, come i calderai e gli artigiani del bronzo, si distinguevano in tutta l’Eurasia per la qualità della loro produzione di strumenti, utensili e armi. Ogni generazione doveva padroneggiare le necessarie competenze e trasmetterle alle generazioni successive grazie a un efficace lavoro pedagogico. Questo era più facile quando il monopolio di un dato mestiere era prerogativa di uno specifico sottogruppo sociale o etnico. La lavorazione del vetro, per esempio, consolidatasi come uno dei principali settori di esportazione della regione nel IV secolo d.C., con fornaci ad Afrasiab (Samarcanda), Chach (Taškent) e nella valle di Ferghana, era quasi esclusivamente di competenza della comunità ebraica.
S. F. Starr, L’illuminismo perduto. L’età d'oro dell’Asia Centrale dalla conquista araba a Tamerlano, Einaudi, Torino, 2017.
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