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Dopo otto anni di guerra, la Siria è tornata quasi interamente sotto il controllo di Bashar al Assad. La Russia, che nel 2015 ha aderito alla guerra ed è uno dei due sostenitori di Assad, deve ora riconsiderare il suo futuro coinvolgimento in Siria e i rapporti con l’Iran, che è l’altro grande sostenitore di Assad. Mosca e Teheran hanno finora collaborato, ma la visione russa del futuro della Siria probabilmente non prevede una forte presenza iraniana. Come gestisce la Russia i rapporti con gli altri protagonisti della guerra in Siria, ora che la guerra volge alla fine?
La Russia e l’Iran hanno collaborato in Siria per un obiettivo comune: mantenere Assad al potere, ma per motivazioni molto diverse. La Russia voleva distrarre l’attenzione interna ed esterna dagli eventi in Ucraina e dalla difficile situazione economica interna. Inoltre voleva dimostrare di essere ancora una grande potenza internazionale. L’Iran aveva obiettivi più ambiziosi. Per Teheran la Siria fa parte di un piano più ampio per espandere la propria influenza e il proprio controllo su tutto il Levante e il Medio Oriente. Mentre la Russia si accontenta di vedere Assad sopravvivere alla guerra e vuole ritirare le forze armate dalla Siria, eccetto i contingenti nella base aerea di Hmeimim e nella base navale di Tartus, l’Iran vuole mantenere le sue forze armate in Siria anche dopo la fine della guerra. Queste diverse ambizioni sono rispecchiate nei diversi approcci militari: la Russia ha sostenuto l’esercito siriano principalmente attraverso la potenza aerea, l’Iran ha impegnato nei combattimenti sul terreno le proprie forze e quelle dei gruppi armati di cui ha il controllo politico (Hezbollah).
I due paesi hanno anche opinioni diverse sugli altri attori esterni coinvolti in Siria − in primo luogo su Israele, che avverte la presenza dell’Iran nel sud della Siria, a una manciata di chilometri dal proprio territorio, come un pericolo intollerabile. Israele ha ripetutamente colpito i bersagli iraniani e di Hezbollah nella Siria meridionale, dandone annuncio pubblico perché tutti ne fossero avvertiti. La Russia ha condannato formalmente gli attacchi israeliani, ma non ha cercato né di prevenirli, né di lanciare attacchi punitivi, benché abbia in Siria batterie antimissile S-300 capaci di intercettare e abbattere gli aerei e i missili israeliani. Non vuole rischiare un confronto con Israele, che ha una forza aerea molto ben equipaggiata, è alleato degli Stati Uniti ed è anche abitato da quasi un milione di cittadini russi emigrati in Israele dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Israele ha già eseguito esercitazioni contro l’S-300, il sistema antimissile russo, e dimostrato di poter penetrare in aree coperte da avanzati sistemi di difesa: potrebbe far fare una pessima figura al sistema S-300 che i Russi vendono a molti eserciti nel mondo. Inoltre alla Russia conviene limitare la presenza dell’Iran in Siria, che sarebbe un elemento destabilizzante per tutta la regione. Con l’Iran fuori dai giochi, la Russia potrebbe consolidare il suo ruolo di patrono di Assad.
La Russia sta invece aumentando le attenzioni per la Turchia, che ha truppe in Siria e vuole avere più influenza. Entrambi i paesi vogliono eliminare i gruppi jihadisti nella provincia nord-occidentale di Idlib, ma rimangono in contrasto riguardo al destino delle regioni a prevalenza curda in Siria. Una maggiore presenza militare turca potrebbe ostacolare il raggiungimento di un accordo politico fra le fazioni e mettere in pericolo la presa di Assad sul paese. Tuttavia Russia e Turchia hanno raggiunto un accordo di base. Nei colloqui di pace a Sochi di gennaio 2019 un portavoce del Cremlino ha dichiarato che la Turchia ha il diritto di far valere l’accordo di Adana del 1998, secondo il quale la Turchia può perseguire i combattenti del PKK − gruppo ribelle curdo con sede in Turchia – per una profondità di 5 chilometri entro i confini siriani.
La Turchia e la Russia hanno un accordo per la gestione dell’enclave di Idlib, dove la Turchia gestisce il controllo sulle ultime milizie jihadiste ribelli ad Assad, inclusa Hayat Tahrir al-Sham (HTS), per evitare che lancino nuovi attacchi contro l’esercito di Assad, ora che è in vigore una lunga tregua. L’HTS rimane la forza ribelle più potente e recentemente ha lanciato un’offensiva contro altre milizie sostenute dalla Turchia.
Non respingendo gli attacchi contro l’Iran nel sud della Siria e accogliendo i Turchi nel nord, la Russia tiene in bilico entrambe le potenze, pronta eventualmente a giocare l’una contro l’altra. Mosca vuole soprattutto prevenire la possibilità che la Turchia o l’Iran diventino abbastanza potenti da sfidare la Russia nel Caucaso, regione in cui i tre paesi sono entrati in guerra molte volte nel passato. Ma vuole anche uscire da questa guerra, ridurre l’impegno militare e i suoi costi, e mostrarsi vincitrice a pacificatrice agli occhi del mondo.
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