Dopo la brusca interruzione dell’incontro negoziale fra il presidente della Corea del Nord e Trump né i Coreani né gli Americani sono più preoccupati di prima, ma i Giapponesi sì. Nei preparativi per l’incontro è stato detto chiaramente che gli USA non chiedono alla Corea del Nord di distruggere le armi nucleari di cui si è dotata, ma le chiedono di non dotarsi di missili intercontinentali che possano trasportare quelle armi a lungo raggio, raggiungendo anche gli USA. Questo mina alla radice la strategia difensiva che il Giappone ha adottato, o che gli è stata imposta, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Quella strategia prevedeva che la sicurezza del Giappone sarebbe stata garantita dagli USA, che in cambio potevano usare il territorio giapponese come base per tener sotto controllo e sotto tiro le basi strategiche dei potenziali nemici regionali, dal porto russo di Vladivostock ai porti e aeroporti coreani e cinesi. Il Giappone poteva concentrarsi sulla ricostruzione della sua potenza industriale e commerciale senza dover spendere per riarmarsi, purché accettasse le regole di mercato americane, la politica monetaria americana e la presenza di basi militari americane sul proprio territorio.
Ora però pare che gli USA non intendano più garantire protezione anti-atomica ai paesi alleati dell’Asia orientale, ma intendano restringere l’ombrello difensivo al solo continente americano. Formalmente i trattati fra USA e Giappone non sono cambiati, ma quanto è valida la garanzia americana, se gli USA accettano che la Corea del Nord sia una potenza atomica regionale?
Il Giappone vive in una regione in cui rivali abbondano e molti paesi hanno pessimi ricordi di guerre e invasioni da parte giapponese nello scorso secolo. Non è facile convincere l’opinione pubblica giapponese, abituata a 75 anni di disarmo, che è ora di riarmarsi e darsi una nuova strategia, ma l’argomento è ormai sul tappeto, la discussione politica all’interno è iniziata.
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