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In Le radici della cultura europea: una lettura geopolitica, abbiamo visto come le culture europee abbiano in comune la tradizionale tensione fra logos e religio, incorporata nel Cristianesimo. Si pongono ora altre questioni: Perché fu Roma a incorporare Atene e Gerusalemme? Perché fu poi l’Europa a dominare il mondo per secoli? Fu la cultura dei popoli europei a mostrarsi particolarmente atta alle conquiste, oppure furono le scelte di alcuni leader a indirizzare la storia, oppure sia le scelte sia le culture furono determinate dai limiti e dalle possibilità della geografia e della tecnologia?
George Friedman (presidente di Geopolitical Futures) sostiene che è la geografia a influenzare le caratteristiche culturali e intellettuali dei popoli, rendendoli ‘nazioni’ con identità riconoscibili. Le culture nazionali e la loro storia sono soltanto modestamente influenzate dalla libera volontà delle élite e dei leader che hanno detenuto il potere. Le opzioni fra cui può scegliere un leader eschimese sono diverse da quelle che si offrono a un leader egiziano o tailandese, non per una questione di ideologie diverse, ma per i condizionamenti geografici che attraverso i secoli sono diventati schemi di pensiero e di azione per l’intera popolazione.
Tutte le società hanno un qualche metodo per scegliere i leader, e la scelta è sempre condizionata dalla società stessa. I leader hanno una certa elasticità di interpretazione e applicazione delle scelte di fondo, ma non possono cambiarne l’orientamento, altrimenti la società li rovescerebbe. I leader sono forgiati da una cultura nazionale che a sua volta è forgiata dalle necessità. Diventano leader perché capiscono e interpretano quelle necessità e agiscono in accordo con la realtà. Anche Marx definiva i leader parte della ‘sovrastruttura’, non della forza dinamica della storia (ancorché la sua teoria della lotta di classe come forza dinamica della storia sia stata dimostrata ripetutamente falsa dalla realtà). Adolf Hitler fu catapultato al potere dalla specifica configurazione della nazione tedesca attorno agli anni ’30. Non violentò la Germania per raggiungere e gestire il potere, ma si allineò ai poteri della società tedesca, che gli attribuirono la leadership.
Friedman illustra la necessità geopolitica con l’esempio della guerra fra Giappone e Stati Uniti. Gli Stati Uniti vivono in sicurezza se controllano i due oceani ai confini e le rotte marittime internazionali. L’economia industriale del Giappone degli anni ’30 dipendeva interamente dalle materie prime che provenivano dall’Indocina (allora controllata dai Francesi) e dall’Indonesia (controllata dagli Olandesi). Il Giappone aveva accesso alle materie prime grazie ad accordi di fondo con i Francesi (per l’Indocina) e con gli Olandesi (per l’Indonesia). Non aveva il controllo delle rotte marittime, anche perché le Filippine erano degli USA. Ma gli USA non avevano motivo di ostacolare i commerci né del Giappone né di altre potenze in epoca di pace. Nel 1940 la Germania invase la Francia e l’Olanda, che garantivano i contratti del Giappone. Nel timore di perdere l’accesso alle materie prime il Giappone invase l’Indocina e si preparò a invadere l’Indonesia, schierandosi così con la Germania. Il passo successivo ovviamente sarebbe stato cercar di invadere anche le Filippine per acquisire il controllo delle rotte marittime. Gli USA lo capirono e si prepararono per la guerra, perché non potevano permettersi di perdere il controllo delle coste occidentali del Pacifico. Gli USA però non erano pronti per la guerra, perciò cercarono un accordo diplomatico con il Giappone, allo scopo di guadagnare tempo. Anche i Giapponesi avevano bisogno di preparazione prima di sferrare una guerra agli USA per il controllo del Pacifico. L’accordo fu firmato, ma entrambe le parti sapevano che era un mezzo per guadagnar tempo per prepararsi alla guerra, infatti entrambe le parti si prepararono. L’attacco di Pearl Harbour non fu affatto inaspettato: gli USA sapevano che i Giapponesi avrebbero attaccato appena pronti, anche se non sapevano esattamente dove, ed erano pronti sia alla difesa sia al contrattacco. I piani erano stati fatti, la flotta era stata preparata. La guerra ci sarebbe stata anche se a capo dei due stati ci fossero stati leader diversi da Roosevelt e Tojo, perché tutte le istituzioni e tutte le forze sociali, economiche e politiche delle due nazioni sentivano l’urgenza di non perdere il controllo delle rotte del Pacifico.
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